LA NOTTE
Mi mostrò l’ombra d’una breve notte
Quello che ancora il lungo corso, e il lume
De’molti giorni non m’avria mostrato.
Dacché la poesia ebbe manifestato ai viventi le più solenni e le più toccanti immagini della terra, la notte cominciò a decantarsi come la più limpida, la più lucente, la più serena delle cose della natura. Ebbe i titoli di stellata, e di pura, di tranquilla, di consolatrice e di altro, senza quella infinità di allegorie e di trovati, che tanto e tanto lo spirito dell’antichità dilettarono. Venuti tempi migliori, o seppure io non debba nominarli così, meglio istrutti, la notte fu motivo delle più sublimi contemplazioni alle menti illuminate di Galileo, di Hertscel, Piazzi, Zach, e altri molti, i quali vedendo in essa le stelle.
Che nel silenzio camminando vanno,
dedussero le verità più elevate, e dimostrando la nobiltà dei cieli ai nepoti, manifestarono che d’infiniti globi il creato, sia per ogni lato sfavillante e ripieno. Dopo che gli animi umani erano stati con le immagini delle notturne cose allettati, e dopo che lo intelletto era rimasto confuso dalle sempiterne ricchezze ed ilarità del creato, vi mancava certamente un ritratto che rappresentando nella sua figura la notte, la mostrasse pia e costumata, melanconiosa, dolce, soave, tenera dei suoi figliuoli e del mondo.
La espressione delle quali cose fu tutta propria di quell’artista ragionatore lo scultore Alberto Thorwaldsen, il quale con tanta filosofia immaginandola la finse tutta nobile dei suoi attributi, e con disegno sì sapiente e sì puro da toccare l’ultima altezza che in una sì importante cosa l’artista possa desiderare. Noi, lasciando che i nostri lettori ammirino sulla incisione qui data, la soavità dello stile e la grazia degli atteggiamenti e dei panni, siamo di sentimento di spiegare unicamente a chi legge la profondità del concetto, perchè conoscasi con quanto studio un artista debba immaginare i suoi piani, e perchè questo che è uno dei più nobili suoi doveri, meglio che non la grazia e la venustà, può mostrarsi con le parole.
Immaginò ei dunque la notte che si libra sulle sue ali per addimostrare agl’ intelligenti che questa non è se non fenomeno aereo che passa momentaneamente l’estate, e che durando molte fredde ore l’inverno dilegua pure alla fine, e con la rapidità dei tempi sparisce. A non confonderla con tante cose che sono passeggiere ancora e istantanee pose a lato della medesima quella noctua alato della sera e dei silenzio, che allora solo spiega francamente il suo volo quando la tenebrìa cuopre il mondo. Lo svolazzare ed il ravvoltolarsi dei panni indicano a maraviglia quei venti che la notte suol menare con sè, mentre dormon le cose, e s’ode tra le frondi della maestosa quercia e tra i fiori il sussurro del fiato loro. Dorme l’ammiranda donna frattanto, e chi non sa che dormendo si compie intanto una metà del viaggio di questa vita nostra caduca? Non incontro o disastro alcuno interromperà nel suo felice viaggio la giusta, la quale concedendo il refrigerio dei sonno agli animali tutti ed agli uomini, pur è bello che ne risenta anch’essa gli effetti, e voli senza una fatica al mondo nei vuoti immensi dell’atmosfera.
La poesia dei moderni aveva celebrato la notte come quella ninfa o divinità (1),che col suo silenzio e con l’ombre empiva i cuori d’una cosiffatta dolcezza da restituir loro lo stato d’innocenza e di gioia, e da ritornarli dalle sventure alla vita. Aveva detto che sotto le sue stelle e il suo influsso l’infelicissimo tra i mortali usciva a respirar solitario per poi cadere immerso nell’obblivione, che l’uomo colpito dalla disgrazia passeggiava fra le tenebre a preparar la sua difesa monologo, e che se veduto era quietavasi, che tutti deponevano in [...]