Sonetto
Mesta Roma Sedéa, e defuso al Petto,
scendea l’Umor d’lumi, lo sguardo affisse,
Sovra il nudo Scalpel carco in difetto
Ruppe con voce dolorosa, e disse:
Il prisco Genio or’ si cangiò, inperfetto
Sudor dell’Arti, forse il Ciel’ Prefisse
Nò rispose Minerva, al Roman tetto
Altro Fidia si appressa, qual altro visse
Ecco il dì che alle Romuleé Sponde
nascer’ si vidde, Onor genio Arte Ingegno
di Gloria il Tèbro rischiarò sue Onde
Gridan’ l’ Suoi Castalie viva il Sostegno
del Suol’ Quirin’. Allor’ l’Eco Risponde
Torvaldesen’ sol di tanta Gloria e[`] Degno