No. 5101 of 10319
Sender Date Recipient
Angelo Maria Ricci
Niccola Severi
[+]

Sender’s Location

Pisa

Antagelig 14.2.1830 [+]

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Omnes
Abstract

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PEL LA
SOLENNE INAUGURAZIONE
DEL

MONUMENTO
FUNEBRE
SCOLPITO
Dal Celebre Cav. Thorvaldson
ED ERETTO
NEL CAMPO SANTO DI PISA
ALLA MEMORIA DELL’ INSIGNE CHIRURGO

CAV. ANDREA VACCÀ
BERLINGHIERI

PISA
Tipografia Vistri

1830.


ELEGIA
DEL SIG. CAV.
ANGELO MARIA RICCI
DIRETTA
AL SIG. DOTTORE
GIOVANNI ANGUILLESI

Amico e Vate, che dall’onde vive
De’ toschi fiumi hai quella vena attinto,
Per cui l’italo stil suona e rivive;

Vuoi tu che canti, io di gramaglie cinto,
L’Esculapio novel da morte colto,
Perchè in altri la Parca avea pur vinto;

E il Monumento da quel Grande scolto,
Che i più bei nomi alla nemica ria
Col suo scalpello folgorando ha tolto?

Pur della voglia tua vuo’ far la mia;
E quella che cantò del mio dolore
A te mando mestissima Elegìa.

Ella dirà qual vidi, e con qual core,
Quel marmo che prendea forma dal vero,
Sotto la man dell’ europèo Scultore,

Quand’ io l’ali aggiungeva al suo pensiero;
E alla mia Sposa egli scolpia l’avello,
A Lei che solo in ciel trovare io spero!

E vidi innanzi a lui star Raffaello
L’Angiol che pria del Sol bebbe la luce,
E a lui guidar 1’angelico scalpello;

Mentr’ ei nell’ atto il ritraea che Duce
Al Giovinetto, d’amor peregrino
Si feo per quell’ amor che in ciel riluce;

E poiché l’istruì nel suo cammino
Nelle arti e nelle vie d’ogni salute,
Onde l’uomo fra noi quasi è divino,

A casa il riducea dalle temute
Balze, ricco del farmaco fedele,
Che ne’ paterni rai tornò salute,

Per quella possa che chiudea nel fèle,
A raccender la lampada visiva,
Lo spento anzi a’ suoi passi Idro crudele.

Bello è il veder sul marmo immagin viva
Del Giovanetto all’orbo padre innanti,
Per cui la luce è d’ ogni gioja priva.

Sporgon dal bianco sasso ancor tremanti
Le braccia di Colui, che nel suo figlio
Riveder più non spera i suoi sembianti.

Solo impietrato su quel marmo il ciglio
Muto è di luce; ei di pallor funebre
Tinto, sembra implorar lume e consiglio

Lenisce il figlio in lui l’irte palpebre
Del collirio che serba le scintille
Dissipatrici dell’altrui tenèbre

Oh! come sull’attonite pupille
D’un tocco accese lo scalpel vitale
Del dì venturo ancor molte faville!...

Salve, o Fidia novel, Fabro immortale,
Che nella storia che del tempo è speglio
Trovasti immago al gran subietto uguale

Che se di Còo, se d’Epidauro il Veglio
Furon materia delle argive fole,
Quel libro fu di verità pareglio.

E al nuovo onor dell’ epidaurie scuole,
Cui piange Italia mia, Raffàel diede
Qualche scintilla, onde dà vita il Sole.

E de’ farmachi eletti il fece erede
Largiti al Giovin che guidò per mano,
In cui più che il saper poteo la fede.

Arte e scienza di talento umano,
Se lume di lassù non la suggella,
Non è che vuota immago e rumor vano.

Squisiti organi egli ebbe, anima bella,
Come Colui, di figlio e di consorte,
Pria di tornare alla natia sua stella.

E qual farfalla che sull’ ali porte
I fulgidi occhi, egli ne avea l’acume
Sulle falangi delle dita accorte.

Che a lui svelò gli astrusi ordigni un Nume,
Onde la vita circola, ed in tutti
I sensi avvicendò degli occhi il lume.

Nè cercò del saper ben’ altri frutti
Che in parte raddolcir 1’ altrui martoro
«Si che gli onor tornaro in tristi lutti.

Sete non ebbe mai d’argento e d’oro;
Ma soltanto in recar conforto, e vita,
E nel giovar’ altrui si fea tesoro.

Or che dirà conforme a tal ferita
La misera Elegia dell’ Uom che spento
Altrui lasciò di se cotanta vita?

Dirà che fra l’unanime lamento
Della patria l’amor spontaneo eresse,
All’Etrusco Esculapio un Monumento;

E Fabro eguale all’ opra illustre elesse,
E loco augusto, ove il bel marmo eletto
Degno d’ambo i gran nomi un Tempio avesse.

Che se all’Alme beate alcun diletto,
Fra quelli, onde le inebria il Paradiso,
Venir mai puote da terreno oggetto,

Il gran Giovanni di veder m’è avviso,
Al suo funebre Ostello oggi converso,
Di novel gaudio scintillante in viso;

Alla gran Mole sua, che ancor per terso
Marmo, e per pinte mura unico appare
Miracolo dell’arte all’Universo.

Ivi in mirar le peregrine e rare
Forme del nuovo Avello, alla bell’Alma
Fansi le care mura ancor più care;

Nè invidiando in sua beata calma
La nobil’ opra alla maestra mano,
Ceda, egli dice, il mio scalpel la palma

Allo scalpello dell’illustre Dano.

SONETTO
DEL NOBILE
SIG. NICCOLA SEVERI

Ecco l’augusta Mole, onde novello
Lustro ebbe Italia un dì; quella che ergea
Tomba a’ suoi Figli estinti e sede al bello,
Negli alti dì del suo splendore, Alfea.

Sorge a questa di fronte il sacro Ostello,
Che i languenti per morbo in sen ricrea,
Ove stretto il notomico coltello
Soleva oprar tanti prodigi Andrea.

Ma se troncar poteo vita sì cara,
Sì che di pianto avrem sempre argomento,
Grudel più che non suol la Parca avara,

Dritto era ben, che fra il comun lamento
Qui il Dano Fidia a una virtù sì rara
Degno d’entrambi alzasse un Monumento.

General Comment

Dette er en trykt tekst, indeholdende hyldestsange til Bertel Thorvaldsen i anledning af Vacca-monumentets indvielse 14.2.1830. Den sidste sang findes desuden i brev af 12.1.1830 fra Niccola Severi.

Archival Reference
M18,14 (Thorvaldsens Museums Småtryk-Samling 1830)
Subjects
Monuments, Comtemporary Figures
Persons
Commissione per il Monumento Vaccà · Bertel Thorvaldsen · Andrea Vaccà Berlinghieri
Works
Last updated 25.08.2015 Print