No. 6671 of 10318
Sender Date Recipient
Filippo Gerardi
Oreste Raggi
Gaspare Servi
Il Tiberino
[+]

Sender’s Location

Rom

7.1.1835 [+]

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Dateringen fremgår af dokumentet.

Omnes
Abstract

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E, s’io al vero son timido amico,
Temo di perder vita tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico.

 
DANTE PARAD. C.XVII.
 
 

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Di questo Foglio Artistico dal Governo Pontificio è stato riconosciuto in Proprietario ed unico Direttore responsabile l’Architetto Gaspare Servi.

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Non senza iscusabile soddisfazione m’è pur dolce il dare incominciamento con tali pagine all’ anno terzo di questo Giornale Artistico, e nutro speranza che i dotti vorran proseguire a riguardarlo come un deposito fedele della storia contemporanea delle arti, nè saranno per rimproverarmi di amor soverchio, o di mal talento verso un qualche artista; perchè tutti gli articoli saranno al solito dettati dal solo – amore del Vero; nè si risparmieranno indagini, nè si disprezzeranno consigli; perchè la negligenza, e la superbia sono imperdonabili in chi tesse la storia de’suoi tempi, che trasmetter deve con rigida precisione ai posteri ciò che di notabile accade nelle arti nel suo secolo, e ciò che nel suo secolo se ne pensa.

Seguirà adunque questo Giornale a tener dietro fedelmente ai procedimenti delle Arti Belle, e minutamente, e con imparzialità vi si terrà discorso su tutti i nuovi prodotti di Pittura, Scoltura, Architettura, Incisione, non meno che sulle scoperte che andrà facendo l’industre pazienza dei dotti Archeologi, e sulle macchine utili che l’ingegnosa meccanica andrà inventando o a benefìcio dell’ umanità, o ad illustrazione delle arti belle: offerendo i Processi per giungere ad ottenere nuovi insigni risultamenti in articoli alle arti spettanti. E se la morte andrà mietendo un qualche artista se ne farà cenno sull’istante, che ne pervenga l’infausta notizia, e se ne tesseranno, e stamperanno le opportune, esatte, biografìe, lo che gioverà ampiamente alla storia delle arti, scorgendosi spesso le vie per cui i sommi vennero in fama, o quelle per cui bellissimi ingegni rimasero soffocati ardendo secreti come faci in un monumento.

E volendo pure in una qualche guisa appalesare l’affettuosa mia riconoscenza per chi onora con la sua firma questa Impresa di quando in quando io darò nel foglio il Ritratto disegnato diligentemente inciso in rame di uno de’ più distinti artisti viventi il cui nome a dì nostri sia salito in grido per felicità d’ingegno, e per opere degne d’essere rapite all’ oblìo; ed alla vista di questi ritratti certo si risveglieranno le rimembranze di tanti Esseri privilegiati da Dio di preclari talenti, talenti eruditi poi con assiduo e ben diretto studio da un buon volere costante, e da quelle immagini faville animatrici de’ giovani, e saranno d’eccitamento sublime a ben fare; e meritare d’essere mostrati a dito; come si esprime Persio, ex dicier hic est?

Chi poi associandosi ora al Tiberino acquistasse anche tutti i fogli usciti nei due anni spirati, avrebbe d’ora in poi tutti i Fogli dello Spigolatore altro Giornale Periodiòo di mia proprietà, in cui si parla di Scienze, Lettere, Costumi, Teatri, Bibliografia ec. ec.: e la cui direzione da me è stata affidata all’ ottimo mio amico Giacomo Ferretti, e che vede la luce ogni quindici di nella forma di ottavo in 16 colonne, ed è ornorato da favorevole accoglienza in Roma, e fuori, servendo d’utile, ed istruttivo passatempo.

Possa il mio Tiberino trovare ampia e nobile messe nei nuovi prodotti di quei valenti artisti, di cui è bella la nostra Roma, e la nostra Italia realizzando così le dolci, e più care speranze del nostro secolo.

Gaspare Sèrvi.

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PITTURA
 
Una caccia nelle campagne di Ostia Quadro d olio del signor Pietro Vallati.

Quantunque il genere di dipingere paesi, boscaglie, cacce contadineschi costumi ed altre di siffatte, cose non sia sempre lodato da’ buoni filosofi e da coloro che rettamente veggono nelle arti belle, pure a quésta età molti corronvi dietro bramosamente, e i più de’nòstri gióvani dipintori par che non sappiano cercar lodi se nelle loro tele non tolgano a rappresentare quasi sempre eguali subbietti; lo che io nè saprei del tutto lodare nè biasimare del tutto, come altri fanno. Certamente l’arte gentile della pittura mira fin dalla sua origine a più alto scopo che non è quello di rappresentarti fiori, frutti, alberi, belve o brutti ceffi di rozzi contadini in grossolane e cenciose vestimenta ravvolti. Ella è un muto linguaggio ritruovato a dirne per la via degli occhi e di materiali figure le antiche o le presenti istorie, che dee tramandare alla posterità i fatti più grandi degli avi, che rappresentando le più belle virtù degli uomini, l’amor patrio, la magnanimità, la giustizia, il valore di essi, ne inviti con tali esempj a seguitarle di buona voglja, allontanandone da’vizj. Gli antichi a questo intesero sempre e i sommi nostri Italiani fin da quando essa risorse presso noi per divenire maestra a tutte le altre nazioni non ebbero certamente altro in mira. Ma per mala ventura, siccome diceva, dai più si fa tutto il rovescio (e da ciò forse il minoramente di tal arte in Italia) Io che vogliono alcuni che avvenga per la bassa voglia che abbiamo di farci imitatori in ogni cosa degli stranieri, altri perchè è lavoro che richiede meno di studio ed è meno difficile il seguitare questa anziche quella via. Ma lasciando di tale disputazione, che luogo non avrebbe nella brevità di un articolo, noterò che anche siffatto genere di dipingere non è del tutto da dispregiare chè ha pure il suo allettamento e puossi con questo ancora acquistar lode non poca da chi ben lo coltivi. I Fiamminghi segnatamente vi si distinsero (che perciò scuola fiamminga quella maniera si appella) ed i nomi di molti di essi e le loro opere non senza qualche lode passeranno agli avvenire.

Presso che nuovo poi è a dirsi il genere che ha preso a coltivare il signor Pietro Vallati, giovane romano, di cui queste carte hanno fatte altra volta menzione e del quale il nome è pure ben noto per altre opere da lui esposte al pubblico e che gli furono sempre giustamente encomiate. Egli rappresenta nelle sue tele bellissime cacce condotte con tanta di naturalezza e di evidenza che sono una meraviglia a vedersi; e pruova ne è al certo, oltre agli altri, il piccolo dipinto che qui togliamo a descrivere, in cui è espressa una caccia di cinghiale che avviene nelle campagne di Ostia, appo le rive del Tevere.

Scorgesi a destra di chi riguarda quel quadro il superbo fiume che placidamente scorrendo va a metter foce nel mare. Ivi presso veggonsi sorgere alcune fabbriche e pochi villerecci casolari quà e là sparsi senz’ordine in mezzo a piante e ad alberi di varie grandezze. A sinistra folta e nera boscaglia di altissime; e ramose quercie, che forma vago contrapposto con l’altro lato in cui l’orizzonte apparisce chiaro tuttavia per gli estremi raggi che ancora vi spande il sole tramontato di poco. Nel mezzo compongono il gruppo della caccia un uomo vestito secondo usano i nostri cacciatori, con rosso farsetto e con cappello in testa acuminato, che fattosi già sopra ad un cinghiale afferrato da’suoi cani e per immergergli nel fianco l’arme micidiale che è posta alla cima dell archibugio. Otto sono i bracchi che seguendo il loro padrone danno la caccia alla fiera. Uno scagliato innanzi e riversato nel terreno dalla furia di quella, mentre è per rialzarsi, si volge ansiamente indietro, come se la vedesse già sopra per isbranarlo. Ma quattro d’essi intanto già le sono addosso e tengonla sì forte che uno di questi, che è di color bianco con macchie rossastre, avendola stretta co’denti per l’orecchio si fa piuttosto strascicare con tutto il corpo di quello che abbandonarla; altro ne vedi alcun poco avanti, quasi con astuta mente contrastandole la via, voglia attenderla al varco; e due in ultimo rimasti in dietro, uno è presso a raggiungerla, l’altro ancora lontano l’ha scorta, e vedutala appena, corre a tutta possa per più corti sentieri, e tutto ansante, come volesse togliere ai compagni quel piacer della preda. Un secondo cacciatore con altro cane vedesi poi a lunga distanza frammezzo al più folto del bosco, ed in luogo elevato il quale è in atto di mirare ad altra fiera che gli si è forse scoperta fra quei cespugli, mentre un guardiano di campagne, per metà celato dalle piante e da sassi, montato sopra un cavallo ed avente fra le mani un lungo bastone con punta di ferro, cerca serrar la strada a quella prima fiera. Nelle quali figure e nel vario atteggiamento de’ bracchi si ravvisa forza grande e molta abilìtà di dipingere la natura. Il sole, come si diceva, di già tramontato manda ancora gli ultimi suoi raggi a rischiarare l’aria, e questa vedesi non da nuvole, ma ingombra alquanto da pochi vapori condensati, siccome spesso sogliono apparire in sul far della sera, i quali mossi da leggero soffio di vento vanno sotto varie forme agitandosi lievemente. Il colore rossigno, qual suole mostrarsi dalle parte di occidente quando il sole è calato alla marina, bellamente contrasta col ceruleo delle acque che scendono al mare; ed il verde delle piante, l’oscurità del hosco, il chiaro del cielo, la varietà e l’armonia nel tempo stesso delle tinte è tutto giudiziosamente distribuito. È pure da avvertire come abbandonato in sul terreno, e con saggia mente ideato, vedesi un tronco di antica colonna in cui leggesi scritto: Via Ostiensis S. P. Q. R. poiché non ad ognuno, se non s’indicasse sarebbe naturalmente noto quel luogo.

Ma ciò che più ne sorprende, a mio avviso, in questa pittura è Io stesso cignale condotto con tal’ arte e con sì stupenda imitazione del vero che non è da ridirsi. Sta esso nel mezzo facendo pruove indarno di liberarsi da quegli assetati cani che l’hanno attorniato; atro ci gli sguardi, la bocca aperta e lorda di sangue, mostrando le rabbiose zanne ti sembra sì vero che non sai quasi persuaderti quella essere una pittura.

Diremo poi come un tale quadro che gli è stato allogato da certo signor Garnett sia una replica, con alquanta variazione di altro consimile condotto per il signor Torlonia, Duca di Bracciano, se non che ove in quello si è voluto rappresentare la veduta del lago di tal nome, in questo vedesi quella di Ostia.

Quindi in fine essendoci noto il merito non comune del signor Vallati ci lusinghiamo che ei vorrà darne altra volta materia di discorrerne in questi fogli, i quali mirano solo all’ avanzamento delle Arti ed alla lode, come al biasimo di chi bene o male le coltivi.

Oreste Raggi.

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SCOLTURA
 
MUSEO DI AVORJ
 
Del nobile conte Girolamo Possenti in Fabbriano.

L’Itaiia, madre feconda di quanto le arti belle riguarda, quantunque visitata nel secolo nostro con quella diligenza, ch’ è propria degli eruditi indagatori del bello, quantunque percorsa da tanti dotti e curiosi stranieri, contiene tuttavia non conosciute ricchezze, la cui descrizione riuscirebbe senza dubbio gratissima cosa. Fra tali preziosità merita particolare ricordo la ricchissima collezione di avorj che in Fabbricano conserva il nobile conte Girolamo Possenti, il quale con indefessa cura ne ha raccolto, e ne va raccogliendo tuttora una serie copiosissima, che l’unica sarebbe da poter presentare al pubblico un idea di quanto in varie epoche si fece in questo genere di scultura, al dir dello stesso celeberrimo storico di lei (Cicognara. St. della scult. t. 2. c 442 Venezia 1816), che di tal gabinetto colle più alte espressioni di lode (Cicogn-Mera, della Galcogr. Prato pel. Giochetti 1831 c. 3o, 34) fece sempre parola. Ed infatti fra mille, avorj circa, a cui ora la raccolta è pervenuta, ve li osservi di tutte l’età, di tutte le nazioni, di tutte le varie grandezze, stili, e manifatture, non eccettuati pregiatissimi lavori eseguiti a bulino, o grafiti su molti avorj, che al XVI secolo forse appartengono. Ed or l’occhio ti cade sui moltissimi dittici e trittici, che gli antichi tempi ricordano, ed all’ opere ti rimandano del Gori, dell’ Agincourt, i quali dottamente ne illustrarono alcuni; or ti riposa su statuette magnifiche, su gruppi sorprendenti per finitezza di lavoro per non ordinaria grandezza, che o sacre o profane o mitologiche cose ti rappresentano ; ora con diletto si ferma su tanti bei quadri, su tanti ornamenti, su tanti utensili al sacro, al civile, al domestico uso acconcissimi. Nè quì è da tacersi, come ivi rinvengansi ancora in copia molte belle sculture in legno, molti lavori di Cristalli di Monte, ed altre curiosità, che meritano bene il viaggio di colti artisti, il trattenimento di persone erudite, alle quali, commendando questo museo, assicuriamo, che se volgeranno a Fabbriano i loro passi, troveranno assai più di quello, che dicano le nostre brevi, ed incolte parole.

(Sarà continuato)

ARCHITETTURA
 
NUOVA FABBRICA
 
Lungo la via del Corso dal num. 15 al 20 presso la piazza del Popolo.

Ecco una fabbrica che nel suo prospetto t’avvisa appartenere ad un cittadino privato: non ghiribizzi, non frastagli, non gotismo, non colonne, non pilastri; però linee, e linee che stanno fra di loro in armonia, e linee che regolarmente ne dividono i piani che fanno la medesima.

Un piano terreno con sopra mezzanino e tre piani superiori la compongono.

Il piano terreno e mezzanino ne formano il basamento che nel prospetto è condotto a bugne.

II primo piano ha fenestre con mostre e cimase operate di molta grazia, tre delle quali danno l’ingresso a tre loggette scoperte con parapetti di ferro, molto bene intese in una fabbrica per quella via, se solamente si riflette alla circostanza delle corse nel Carnevale.

Le fenestre del secondo piano, hanno anch’ esse mostra, e cimase di bello stile.

Il terzo piano è di gran lunga più basso degli altri ed ha le fenestre con semplice mostra che le gira d’attorno.

Termina la fabbrica una Cornice che è in relazione con il tutto; l’aggètto della medesima è ragionato, le modanature sono bene immaginate, e bene eseguite, ed i modiglioni vi sono ben disposti, tanto che l’occhio può riposarsi ad osservare le linee del soffitto, che se non sono molte, sono a sufficienza per farlo comparir bello.

Nel prospetto v’ha il portone d’ingresso, ed in verità da molti si rinvenne un pò troppo alto ragionandolo alla sua larghezza.

L’interno‘della medesima è ben partito, in ogni piano tre ne sono gl’ingressi, per poterne a bell’ agio comporre tre separati appartamenti, ed ogni appartamento ha i suoi commodi.

La scala è luminosa ed agiata, da un lato della medesima v’ha il parapetto di ferro, che forse avria da essere più alto.

La fabbrica adunque è semplice commoda e bella,
e lode però ne sia al proprietario architetto cavalier Braccia accademico di S. Luca che la immaginò, e la diresse.

G. S.

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I N C I S I O N E

Il pittore signor Tommaso De Vivo, scrupoloso mantenitore di sue promesse, ha pubblicato altre due tavole in rame, de’ fatti più celebri avvenuti nella Sicilia. Una di codeste tavole rappresenta la morte di Teja ultimo re dei Goti. Costui, succeduto nel regno a Totila, volendo salvare la città di Cuma assalita da Narsete, venne con esso lui alle mani presso il Vesuvio. Teja combatteva gagliardamente, ma sentendosi indebolito il braccio sinistro dal soverchio peso dello scudo, nel quale erano confitte ben dodici aste, mentre alcuno de’suoi glie ne porgeva un altro restò ferito a morte da un dardo.

Mirasi nel mezzo della composizione il valoroso re caduto a terra, se non che uno del suo esercito piegato al suolo un ginocchio, gli fa coll’ altro sostegno al capo. D’attorno a lui, si stanno parecchi de’ suoi scudieri, uno de quali ha in mano lo stendardo de’Goti, ed un altro gli tiene dinanzi il suo scudo carico delle aste nemiche, come se col mostrarglielo volesse confortarlo negli ultimi instanti di sua vita, richianmandogli alla memoria la immensità del sui valore.

Teja quantunque sembri essere vicino a spirare, pur nullameno stringe colla destra la spada, la qual cosa giova a farne conoscere quanto forte e indomabile fosse il suo animo. = Dai lati veggonsi giacere stramazzati alcuni goti uccisi nel combattimento, e sotto il corpo del morente re scorgonsi fasci d’arme, ed insegne militari.

Questo può dirsi veramente un bellissimo gruppo, dal quale si ritragge quanto sia fine il sentire dell’artista, sì per la naturale movenza delle figure, che per la espressione di ciascuna di esse.

In lontano intravedesi la battaglia accanitamente combattuta, ed ivi presso scogersi l’Etna dalla cui cima s’alzano globi di fumo.

L’altra tavola ne presenta il divino Archimede in atto di porre il fuoco alle navi de’ romani da Marcello condotti alla espugnazione di Siracusa. Tu vedi in fatti le mura di codesta città guernite per ogni parte d’ordigni guerreschi, trovati a bella posta da quel sommo Filosofo a difensione della patria. Sopra di esse scorgesi lo stesso Archimede, (maestosa figura piena di nobiltà, e di vita) il quale di sua mano va regolando il così detto Specchio ustorio, per incendiare con esso le navi nemiche, le quali veggonsi in alto mare, e due di esse, le più vicine, già in preda alle fiamme.

All’ indietro osservansi le soldatesche di Marcello, che forzata d’improvviso una porta, senza che gli abitanti se ne avvedessero, irrompono fnriosamente nella Città. Più in lontano sull’ alto di un colle s’innalza l’Epipoli, ossia cittadella, entro cui i tiranni di Siracusa erano soliti ricovrarsi, allorché il popolo contro loro si sollevava.

La figura di Archimede, bellissima per la sua naturale espressione, e la cui testa fu ritratta da un bassorilievo esistente nel Campidoglio, è la sola che signoreggi in questa incisione.

Degna di moltissima lode si è eziandio la somma diligenza adoperata dal De Vivo nell’imitare, il meglio che gli fosse permesso, le antiche mura di Siracusa, e la conformazione del suo porto.

Codesta tavola, a mio credere, vuolsi tenere in gran conto, non solamente per la sua classica composizione, per la squisitezza del disegno, per la ben condotta prospettiva, e per la diligente incisione; ma molto più per la celebrità del fatto in essa rappresentato, come quello, che può ridestare negl’ Italiani la gloriosa ricordanza di quanto operarono i loro sommi antenati a prò della terra che li vide a nascere, e spingerli per tal modo ad imitarli nel cammino della virtù.

Filippa Gerardi.

VARIETA’

Luigi Bàrtóloni negoziante di stampe in Bologna possiede una bellissima raccolta (pubblicata a Parigi in due volumi in foglio grande) di duecento ritratti, ed altrettanti Fac-simile di uomini famosi a tutta Europa: e merita non meno di essere comperata, che riguardata. Tanta è la splendidezza dell’ edizione, e della litografia! Ed io, che l’ho veduta, confesso di averla ammirata siccome cosa rara, e non disutile agli artisti, ed amatori di lettere: chè i primi avranno piacere dei ritratti, che sono della maggiore nitidezza, e verità; i secondi si diletteranno di vedere i caratteri di un Barthelemy, di un Chaptal, d’un Cuvier, di un Lagrange, di un Chataubriand, e (per tacere degli altri) di Alessandro imperator di Russi, di Napoleone Bonaparte, e del General Massena.

Nè deve credersi pregiudizio, o vana pompa conoscere qual forma dessero ai loro caratteri uomini di alta rinomanza; che di essi ogni più comune operazione può e deve interessare: e se di persona autorevole sentiamo parlare, non solo delle sue virtù, e del suo ingegno ci piace sapere, ma ricerchiamo, e vogliamo descritte le attitudini del volto, la conformazióne del corpo, il tono della voce, e tutte quelle minutissime cose della vita, che in altri sarebbono vili, é spregiabili. Con più ragione poi del ritratto, e del carattere; da cui possiamo di frequente conghiétturare le qualità del suo animo; e spesso gli uomini i loro pensieri, i loro affetti nella struttura della faccia, e nel movimento della mano rivelano; e vedrai faccia, e forti ingegni atteggiarsi in volto di gravitá, ed severi, ed a balzi far correre la penna; come per contrario i placidi, ed allegri mostrare serenità di fronte, e più compostezza di carattere; poi che le nostre materiali operazioni derivano da interni movimenti dell’animo, e a questi rispondono senza un contrario sforzo di educazione, e di giudizio.

Mi sia lecito adunque augurare al signor Bartoloni molti concorrenti al fortunevole acquisto di sì pregiabile opera. La quale (perché tutti possano sperare di averla) verrà esposta al pubblico, e col giuoco della riffa destinata cui piacerà alla sorte.

Ferdinando Ranalli.

NOTIZIE ARTISTICHE

Siamo lietissimi di annunciare, che l’insigne e pontificia accademia di S. Luca ha confermato per questo terzo anno in suo Presidente il signor Gaspare Salvi.

In essa Accademia, il dì 29 di Dicembre scorso, l’Eminentissimo signor Cardinal Galleffi Camerlengo della S. R. C. distribuì di sua mano, circondato da tutto il corpo de’ Professori, i premi scolastici agli alunni che meritati li ebbero nell’ultimo concorso. In tale occasione il chiarissimo signor professore Salvatore Betti, segretario perpetuo, disse un suo discorso agli alunni per confermarli vieppiù nella grande scuola Greca e Italiana del bello, e preservarli dai delirii del romanticismo, mostro che come offende l’eterna ragion delle lettere, così fa deformi le arti. Lo stile, la gravità dei concetti, e delle sentenze ne fecero sempre più intendere quanto Egli conosca addentro ne’ misteri del vero Bello, e già esser non poteva altrimente quando da un Betti dettavasi tale discorso, da un Betti cui le Arti, e gli artisti debbono tanto. Oh! il Cielo volesse che alcun non si dipartisse da’ suoi consigli da’ suoi ammaestramenti, certo allora vedremmo redivivi que’ secoli in che gli artisti disputavansi il primato con belle opere guidati dalla sacra face della filosofia.

La prefata accademia ha eletto suoi soci di onore l’Eminentissimo signor Card. Paolo Polidori Prefetto della S. C. della Disciplina, e S. E. il signor marchese Florimonte di Latour-Maubourg ambasciadore di Francia presso la Santa Sede mecenati ambidue parzialissimi delle arti.

Il signor cav. Pietro Ercole Visconti, segratario perpetuo della pontificia accademia romana di archeologia, è stato eletto socio corrispondente dell’ imperiale accademia delle belle arti di Pietroburgo.

Il signor professore Antonio Nibby, censore dell’ accademia romana di archeologia, ha pubblicato un suo dotto ragionamento, in cui sostiene l’opinione che il così detto sepolcro degli Orazii e Curiazii in Albano non appartiene a que’generosi fratelli, ma si ad Arunte figliuolo di Porsenna. Così sarebbe esso l’unico esempio, con data certa, dell’ architettura italiana cinque secoli avanti l’èra volgare.

Il disegno dell’architetto piemontese signor Ferdinando Caronesi è stato prescelto dal Municipio di Torino, in concorso particolare, per la facciata da riedificarsi, alla Chiesa di S. Carlo della prefata città: ed ha avuto il premio di una medaglia di lire ottocento.

Morì in Venezia il dì 19 di Dicembre scorso il valente incisore Antonio Lazzari di Mestre in giovine età. La sua necrologia può leggersi nella Gazzetta di Venezia dei 24 del mese medesimo.

General Comment

Dette er en trykt tekst, som blev udgivet i Il Iberino, No. 1, 7.1.1835.

Archival Reference
M17,35 (Thorvaldsens Museums Småtryk-Samling 1835)
Persons
Salvatore Betti · Jacopo Ferretti · Filippo Gerardi · Antonio Nibby · Oreste Raggi · Gaspare Servi · Bertel Thorvaldsen · Pietro Ercole Visconti
Last updated 31.08.2015 Print