No. 1331 af 10319
Afsender Dato Modtager
Epifanio Capuzzi
Thomas Hall
[+]

Afsendersted

Livorno

10.2.1814 [+]

Dateringsbegrundelse

Dateringen fremgår af dokumentet.

Herman Schubart [+]

Modtagersted

Livorno

Resumé

Kommentarerne til denne gravtale er under udarbejdelse.

Se original

ORAZIONE FUNEBRE
 
RECITATA LI 10. FEBBRAIO 1814.
NELLA CAPPELLA DELLA FATTORIA INGLESE A LIVORNO
IN OCCASIONE DELLA MORTE
cinque giorni prima accaduta
DELLA NOBILISS. DONNA LA SIG. BARONESSA

 
GIACOMINA ELISA DE SCHUBART
NATA DE WIELING,
 
DALL’ILLVSTRISS. E REVERENDISS. SIG. CAPPELLANO
TOMMASO HALL,
 
Membro della Società Italiana di Scienze, Lettere, ed Arti, e di quella di Massachusetts degli Stati Uniti d’America ec.
 
E TRADOTTA DALL’ ORIGINALE INGLESE
DA EPIFANIO CAPUZZI.
 
–––––––––

LONDRA
1814.



A SUA ECCELLENZA
IL SIG. BARONE ERMANO DE SCHUBART
Gran-Croce dell’Ordine di Dannebrogue, Cavaliere dì quello del Merito Civico, Ministro Plenipotenziario, e Intendente Generale di Commercio di S. M. Danese in Italia, e nei Porti del Levante, e del Mare Jonìco, Ciamberlano della stessa M. S., Vice-Presidente della Società Italiana di Scienze, Lettere, ed Arti, e Membro di varie altre Accademie in Europa ec. ec. ec.


Eccellenza.

Le presento-tradotta nell’Italiano Idioma l’Orazione funebre dal Sig.Tommaso Hall, dedicata alla memoria della rispettabile, e degna di Lei Consorte.
Avendone Ella apprezzato l’originale, spero che vorrà gradirne anche la presente versione, scusarne i difetti, e riceverla con quella bontà, che le è propria, come un testimonio dell’alta stima, e considerazione, che le professo, e con cui ho l’onore di protestarmi
Dell’ E. V.

Umiliss. Devotiss. ed Obbligatiss. Servitore
Il Traduttore
EPIFANIO CAPUZZI.




–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
ORAZIONE FUNEBRE

Parlo a voi, che dite = Oggi, o domani anderemo alla tale Città, e vi dimoreremo un anno; colà trafficheremo, e guadagneremo. = Voi non sapete che cosa potete esser dimani: poiché, cosa è la vostra vita? appena un vapore, che apparisce per poco, e presto si dilegua. S. Giac. cap. IV. vers. 13.e 14. =

Tutti i disordini, che regnano fra gli uomini, nascono dal cattivo uso, che essi fanno del tempo. Alcuni passano la loro vita nell’oscurità, e nell’ozio, inutili alla patria, ai concittadini, a se stessi; altri più operosi, ed industri s’immergono nel vortice dei pubblici affari, o si applicano a serie, e laboriose ricerche. Credono quelli di esser nati soltanto per godere di un vile, e vergognoso riposo, e nella varietà dei piaceri cercano di fugare la noja, che ovunque li segue; questi al contrario pensano di essere stati creati per le difficili imprese, e violentando mai sempre il corpo, e lo spirito non godono un sol momento della loro esistenza. Si direbbe quasi, che il tempo sia un nemico comune, contro del quale tutto il genere umano abbia formato una regolare congkira, nuli’ altro avendosi in mira, che di studiare la maniera di consumarlo, e distruggerlo, e più fortunati reputandosi coloro,che meno sentono il peso della sua durata; che anzi quello, che comparisce più grato, o nelle frivole cure, o in mezzo alle più serie occupazioni, si è di abbreviare la lunghezza delle ore, e dei giorni con farli scorrere senza accorgercene.
Dove sono i nostri primi anni? quali utili impressioni hanno essi lasciate nella nostra memoria? Essi non sono che mero sogno, o un vano ripetuto racconto: noi restiamo sorpresi, se riflettiamo sui giorni, sulle settimane, sui mesi, e sugli anni, che abbiamo trascorsi senza impiegarli in opere utili, lodevoli, e nobili.
Tutto l’intervallo, che passa dalla nostra nascita fino al presente, si concepisce con un solo atto del pensiero, e ci sembra l’opera di un sol giorno. Sebbene tutti chiamati siamo a recitare la nostra parte sul teatro dell’ universo, non per questo il passato ci sembra più lungo, o più reale. Noi riguardiamo i secoli trapassati, dalla creazione fino a questo momento, come tante minute particelle della rapida corrente del tempo. Tutti i popoli, che sono apparsi sul terrestre globo,e quindi spariti ; tutte le rivoluzioni degli Imperj, dei Regni, e delli Stati; tutti i grandi, e importanti avvenimenti dei prischi tempi, che hanno abbellite le pagine delle antiche istorie; e quelle violente convulsioni, quei subitanei maravigliosi, cangiamenti, quelle orride scene di rapine, saccheggi, rovine, e distruzioni dell’uman genere, che macchiano, e degradano epoche a noi più vicine, dopo un momento di riflessione compariscono tanti differenti atti teatrali, che potrebbero rappresentarsi nel breve giro di poche ore.
Figuriamoci per un istante le vittorie di un moderno conquistatore, i regni, i paesi da lui soggiogati, le sue rapide, e sorpredenti marce in lontane regioni, i suoi più felici successi nelle pia perigliose intraprese …. Dopo tutto ciò, quale ne è il resultato? Lo splendore di queste gesta brillanti, passa sulla nostra mente come nuvola mattutina, o come chimerica visione senza lasciare alcuna traccia dietro di se. Piacesse pure all’Onnipotente, e potessi ancor io con eguai proprietà vaticinarlo, che restando tali conquiste sotto il di lui dominio potranno esse recare un qualche bene al mondo intiero, o almeno ai bravi, che v’ hanno valorosamente contribuito!.... Ma, oh Dio! l’Umanità gemente, ne risentirà profondamente i tristissimi effetti, e la terra tutta deplorerà lungo tempo la perdita di tanti millioni dei suoi abitanti, immaturamente tolti dalla sua superficie per non rivederli mai più.
Il tempo, la più preziosa delle benedizioni, che il Cielo abbia all’ uomo compartite, ci è divenuto un peso quasi che intollerabile. Ogni ora, ogni giorno noi desideriamo di sbarazzarcene. Noi tremiamo al solo pensiero di dover passare da questa ali’ altra vita per P oscura ombrosa valle della morte, e per un strano assurdo temiamo la noja, che la prolungazione dell’ esistenza inevitabilmente produce. Questo tempo è un tesoro, che desideriamo con ardore di possedere, e con la nostra condotta diamo a conoscere di esserne disgustati finché non lo abbiamo perduto. Noi consumiamo la nostra vita studiando i mezzi di perderla, e a dispetto di tutte le vie, che calchiamo per dissiparla, ce ne rimane sempre una porzione considerevole, che non sappiamo come impiegare.
Gli anni ci sembrano lunghi, e tediosi, se crediamo averne molti da passare, appena son giunti, ci spariscono, e ci fuggono in un baleno; volgiamo appena la testa, ecco che come per incantesimo, noi ci vediamo condotti all’ultimo periodo della vita, che vanamente immaginavamo ancora lontano,o che non dovesse pervenirci giammai.
Esaminiamo per poco il mondo, qual’era nella nostra età giovenile, e paragoniamolo con quello, che noi vediamo al presente. Gli antichi Sovrani sono allontanati dai Troni, ai quali erano stati chiamati per dritto ereditario; altri soggetti hanno loro usurpato lo scettro, e sono quelli costretti a vagare di paese in paese mendicando dall’altrui compassione il giornaliero alimento. Nuovi personaggi si presentano sulle scene di questo teatro politico, e ne adempiono le parti principali. Questi eventi straordinarj non sono prodotti che dalla cabala, e dalla naturale incostanza degli uomini, i quali amano sempre la novità sulla speranza di un migliore destino. Un privato, dotato di raro talento intraprendente, impetuoso, audace, la di cui ambizione non ha limiti, il di cui animo altero non soffre freno, e le di cui militari intraprese sono favorite da un seguito di brillanti vittorie, viene per avventura innalzato a sostenere lo scettro di una delle più potenti Nazioni di Europa, e con le sue invincibili legioni, a guisa di torbido orgoglioso torrente, tutto abbatte innanzi di se, meditando a passi giganteschi niente meno che l’Impero dell’Universo. Un nuovo mondo fondato sulle miserabili rovine del vecchio, si presenta insensibilmente agli occhi nostri, e non ci accorgiamo nemmeno della gradazione dei passi, che nel volger di pochi anni ci hanno impercettibilmente condotto a queste incomparabili revoluzioni. Ma rimiratene il fine. Il Supremo Fattore dell’ Universo (e spesso ne fan fede le istorie) ha di tempo in tempo prescelti dei Principi, onde servir di flagello a quei Popoli,che con l’empio abbandono della Religione, e d’ogni virtù sociale avevano di gran lunga esaurita la di lui sofferenza. Un Nabucco, un Ciro, un Alessandro, un Cesare giacciono, sono già molti secoli, confusi nel fango comune, e le vaste regioni già soggette al loro dominio, sono adesso talmente cangiate, che non si saprebbe rintracciarne i confini, o rinvenire il luogo, ov’erano situate una volta le sedi dei loro Imperj.In questi ultimi tempi noi tutti far possiamo ampia testimonianza dei funesti effetti della collera di Dio chiamata sopra di noi dalle nostre scelleratezze, ed esercitata dalla mano vendicatrice di un moderno Conquistatore.
O tu, gran Dio, la di cui misericordia è infinita, perdonici le nostre colpe! Volgi uno sguardo di compassione sulla gemente umanità, e piacciati di porre un termine alle nostre sciagure!... Grazie te ne rendiamo, tu hai esaudite le nostre preci…
Il Conquistatore abbandona le sue prede, dimanda pace, ed acconsente che i micidiali istrumenti di guerra, di carnificina, e di distruzione si convertano in falci atte a potare la pergola, alla di cui ombra dovremo in avvenire riunirci, e godervi per sempre di un dolce riposo.
Deh I[?] possano le umane vicende condurre la nostra riflessione su quella vita, verso di cui tanto velocemente le ali del tempo ci guidano! Ma, ohimè! temo, diletti fratelli, che il tempo sebbene sia un oggetto, che poco stimiamo, sia la più preziosa delle cose terrestri.
Gl’impieghi onorevoli, e lucrosi sono da noi dati, o procurati agli amici, i più valenti servigi ai nostri benefattori, le ricchezze ai nostri figli, od ai più prossimi congiunti, le raccomandazioni, e le lodi a chi ne stimiamo più degno, ma il tempo, il tempo poi è da noi dato indistintamente a chiunque per avventura ci si presenti, e ci professiamo obbligati a coloro, che ci assistono, e ci agevolano la via di dissiparlo. E’ questo una soma, che portiamo con noi nei più segreti recessi, e desideriamo sempre che qualcuno ce ne sgravi. In una parola egli porta seco imbarazzo, scontento, inquietudine, e col suo peso diviene il veleno di nostra vita.
Tutti i progetti, tutte le intraprese degli uomini hanno un termine, ed eglino stessi, enti caduchi., candidati per l’eternità, devono, secondo il corso della natura, in breve tempo lasciarsi dietro la loro spoglia mortale. Questo globo, e quanti corpi celesti si trovano sparsi per le eteree immense regioni, con migliaia, e millioni di enti creati si affrettano tutti con una rapidità, che nulla può trattenere, a finire la loro carriera per essere infine ingojati nell’abisso dell’Eternità.
I nostri antenati ci delinearono la via della vita, e noi nel perfezionarla ci sforziamo del pari di adempiere i nostri doveri verso i figli, che ci succederanno. Una generazione cancella 1’altra; i morti sono rimpiazzati dai vivi. Non vi è cosa su questa terra, che aver possa un’eterna durata; tutto cambia, invecchia, decade, e muore col tempo ; eppure con tanti, e replicati esempj della nostra caducità, e con la certezza della morte, tendiamo sempre, e con avidità, ad impossessarci delle spoglie di chi ci lascia per sempre, e ben di rado pensiamo a prepararci per quella regione, d’onde niuno di coloro, che ne intraprendono il viaggio, ritorna, e dove niuno, che non sia retto di cuore, può mai sperare di rimanervi felice. Noi rassembriamo a quei spensierati soldati,che trovandosi in campo, e vedendosi cadere a lato i compagni uccisi dalla spada deli’ inimico, tolgono loro avidamente le vesti, e gli ornamenti per decorarne le proprie persone; ma ne sono appena divenuti padroni, che in un volger d’occhio, sono essi pure forzati a lasciarli, perdendo insieme con quelli la vita.
Invece di trarre profitto da queste salutari chiamate dei nostri parenti, ed amici, sembra anzi che noi raccogliamo dalle loro ceneri scintille fatali, che servono a riaccendere i nostri desiderj . Dobbiamo morire! ... Ecco il vero ritratto dell’uomo nato, che io, fratelli cari,espongo alla vostra considerazione, più con la brama di edificarvi, che di piacervi.
Al dire dell’Apostolo “cosa è la nostra vita? appena un vapore, che apparisce per poco, e poi si dilegua.”
All’aspetto della fredda spoglia di persona a noi cara, proviamo naturalmente il più pungente rammarico. Un aria di lugubre mestizia adombra ogni volto, sia orrore, compassione, o debolezza, .tutti i cuori ne sono commossi. Nel piangere l’altrui morte, nel temere la propria dissoluzione, dovremmo riguardare il mondo come affatto privo di cose solide, e durevoli, e persuaderci che l’esistenza altro non è che vapore, che apparisce per poco, e preto si dilegua.
Le più tenere amicizie finiscono pur troppo in questa vita: gli onori non sono che titoli apparenti, che il tempo facilmente cancella: i piaceri sono ordinariamente distruttivi, e lasciansi dietro lunghi, ed amari pentimenti: le ricchezze ci vengono rapite dall’ingiustizia, dalla violenza, e dall’astuzia degli altri, e più frequentemente dalla loro naturale fragilità, ed incostanza, giacchè “esse (secondo le sacre pagine) hanno le ali, e volano”: le dignità cadono da se medesime: la gloria, e la riputazione infine si perdono anch’esse in un eterno oblìo.
In tal guisa il torrente del mondo se ne scorre a dispetto dei deboli sforzi, che noi facciamo per arrestarlo. La rapida marea del tempo tutto abbatte, o seco trascina, e mediante il continuo cambiamento degli uomini, dei costumi, e degli oggetti, che ci circondano, spinti repentinamente noi siamo a quel termine inevitabile, ove il tempo, finisce, e comincia 1’Eternità. Felice allora e mille volte felice quel servo fedele, che, seguendo i precetti del suo Divino Signore, e maestro Gesù, sprezza il mondo, e quanto contiene, che sceglie, ed usa con prudenza e con discretezza le cose unicamente buone di questa vita, e talmente vi si attacca, che formano esse la sua sola passione, e l’oggetto di tutte le sue cure; che sa goderle senza dissiparle ; soffre afflizioni senza disanimarsi; desidera senza cupidigia, o inquietudine; acquista ricchezze senza ingiustizie, le possiede senza orgoglio, od ostentazione, e le perde finalmente senza cordoglio! Felice, e per sempre felice quel’anima, che elevandosi al di sopra di se stessa, e del grossolano cretaceo ricettacolo, nel quale è ristretta, fissa l’attenzione sulla divina sua origine, e nulla curando i seducenti oggetti, che questo mondo racchiude, prosegue con fermezza il suo volo, e quindi si slancia nel seno del suo Dio, e Salvatore!
A voi m’indirizzo adesso, o grande, o ricco. Qual frutto raccogliete voi dalla vostra grandezza, dalle vostre ricchezze? Voi godete il mondo, o di goderlo credete, cedendoli tutto il vostro tempo, tutta la vostra attenzione, né vi adoprate un solo momento in procurarvi una salutare accoglienza nei Regno dei Cieli. Voi correte di piacere in piacere, e non riflettete ai pericoli, che inevitabilmente i piaceri producono. Voi dissipate in frivoli, e spesso illeciti trattenimenti quelle dovizie, che erano destinate al sollievo del povero, della vedova infelice, o dell’ orfano abbandonato. Altieri del vostro grado, e della vostra magnificenza, avari nell’abbondanza, e dolenti, e miseri per tutto il corso della vostra temporale prosperità, voi vagate di passione in passione, e per segreto giudizio di Dio, divenite i trastulli della fortuna, e schiavi infelici della vostra vile, e smoderata ambizione.
Ma, grazie al saggio regolatore di tutte le cose, si trovano, sì, si trovano delle anime generose, e leali, che sanno godere delle grandezze con moderazione, e far uso delle ricchezze con liberalità, che trattando anche la vita con nobile, e generoso disprezzo, innalzano per mezzo della Fede i loro pensieri a quel Dio, che le ha create, al Salvatore, che le ha redente, al Santo Spinto, che le ha santificate; che con dolci atti di carità, e d’amore guadagnano il cuore di tutti ; e che con una vita regolare, e pia servono non solo agli altri d’esempio, ma assicurano a se stesse l’eterna salvezza.
Tale è, Fratelli miei dilettissimi, il carattere d’una Dama, che voi conoscete, della Baronessa Giacomina Schubart, che sa valersi dell’ alto suo grado per meglio adempiere ciò, che deve al suo Creatore, e delle ricchezze, che le son compartite, per soccorrere con maggiore elargita gl’indigenti.
Ella apprezza talmente il suo tempo, che temendo sempre di perderne un solo momento, con l’assiduita dello studio arricchisce ogni giorno il tesoro delle utili dottrine, ch’ Ella possiede, e con savissimo discernimento reca sollievo al suo spirito nei stabiliti intervalli, ora dedicandosi alle cure piacenti d’un ameno giardino, ora accordando sull’arpa una grata,e lusinghiera armonìa, ed ora ammirando le inebrianti bellezze della Pittura, e della Poesia.
Ella ha egualmente una influenza considerevole sui ricchi, e sui grandi della Corte di Danimarca sua patria, come sui più illustri, e distinti personaggi’ d’ogni parte d’ Europa. In tutte le società, che onora con la sua presenza, Ella si acquista amici, ed ammiratori ; gli uni, e gli altri restano non meno vinti dalla di lei naturale dolcezza, dalla gentilezza del portamento, dalla grazia del sorriso e dalla nobiltà del contegno, che attratti, e sorpresi dalla sua pronta penetrazione, dalla saviezza del suo giudizio, dai suoi spiritosi concetti, e dalla perfetta cognizione del mondo.
Ella è adorna di un vero gusto per le belle arti, e per lo studio dell’Istoria, e della Filosofia naturale, e con l’appoggio di qualità sì belle, e in una del bel sesso a un tempo sì rare, abbonda di mezzi, anche indipendentemente da quello della sua privata fortuna, onde prestarsi, e servire in grado eminente all’altrui vantaggio, come appunto Ella costantemente gì’ impiega in proteggere il debole, in sollevare l’afflitto, e in ricompensare chi può meritarlo.
E’ Ella informata dell’oppressione di una famiglia? Ella la protegge, e le procura contro 1’ oppressore la dovuta giustizia. Quando trova delle persone di merito per disavventura sconosciute, o trascurate, Ella procura loro dei stabilimenti, od impieghi conformi alla loro condizione, ai loro talenti. Quando Ella ascolta, che sono insorte delle dissensioni fra alcuni individui, o nell’interno di una Famiglia, il di lei cuore benefico le suggerisce subito di esercitare la sua influenza, onde produrre una riconciliazione, e ristabilire la pace, d’armonìa fra di loro. Se giunge a conoscere le tribolazioni di un misero, le lagrime di una vedova, i lamenti di un orfano, Ella vola al loro incontro, soccorre il bisognoso, conforta l’afflitta vedova, e unisce le proprie alle lagrime di lei, che piange amaramente la perdita di un affezionato marito testé morto sul campo di battaglia, o’quella d’industriosi figli, coi di cui giornalieri lavori erano essa, e il resto di sua famiglia alimentati, e che strappati barbaramente per il servizio dell’armi dalle sue braccia materne, sono morti, uno sulla nuda terra di freddo, e di fame, l’altro d’incomodi, e di marciume in uno spedale, ove migliaja dei suoi compagni lo avevano preceduto, ed erano distesi ai suoi fianchi. Intorno alla dolente genitrice stanno i pargoletti figli,’che le rimangono; l’affabile e pietosa Benefattrice li stringe al suo seno, li educa, li nutrisce, e prova la dolce soddisfazione di sentire le sue proprie lodi balbettate dalle loro labbra innocenti, e implorare sopra di lei le più scelte benedizioni del Cielo.
Piaccia a Dio, Fratelli amatissimi, che voi non solo, che udite questo mio ragionamento, come ogni altro vivente profitti di tali, e sì luminosi esempj.
O voi, che siete unicamente intenti ad accumulare dei tesori per meglio appagare i vostri disordinati appetiti, o per procurarvi più facili mezzi, onde ingiuriare impuneoiente il prossimo vostro; o voi, che vivete soltanto per voi medesimi, e trascurate non solo l’esercizio della carità, che vince, e sconta moltissime colpe, ma siete anche estranei all’amicizia, e agli altri teneri sentimenti d’umanità, che stringono i legami della civil società; o voi finalmente, che una lunga prosperità ha reso sordi alle voci della pietà, e lontani da prestarsi al sollievo del povero, e dello sventurato non fate con duri trattamenti, e crudeli oppressioni che sempre più aggravare le loro calamità, specchiatevi in questa Dama generosa, ed illustre, arrossite della vostra vergognosa condotta, entrate nell’opposta carriera, che il di lei esempio vi addita, e seguendo le tracce, ch’Ella stessa vi segna per l’avvenire, procurate di calmare il giusto sdegno di un Dio, che avete irritato, e impetrate da lui il perdono degli errori commessi.
Voi avete sentito, Fratelli miei, qual uso quest’amabile Gentildonna fa del suo grado, e della sua somma influenza; udite adesso in qual guisa Ella dispone della sua opulenza.
I sacri volumi ci rammentano appena il nome di ricchezze, e lo fanno solamente per allontanarci dal desiderio di possederle. Essi le chiamano “la sorgente dell’ingiustizia” e chiedono da noi, che invece di faticare per aumentarle, eroghiamo piuttosto quelle, che abbiamo, a benefizio dei poveri, e bisognosi. e ci accumuliamo con questo mezzo maggiori tesori nel Cielo.
Le ricchezze tendono naturalmente a corrompere, o indurire il cuore umano, a farvi germogliare l’orgoglio, la mollezza, l’ambizione, e mille altre passioni nemiche tutte della società, e incompatibili con la quiete dell’ animo. Esse ci traviano dal sentiero della virtù, e dell’ onore, e’ immergono in un mare di guaj, ci rendono spregevoli agli occhi dei nostri simili, e ci sottopongono alla punizione, che ci minaccia la destra d’un Dio offeso, e vendicatore. I medesimi sacri Libri c’insegnano pure d’impiegare i nostri beni in guisa che sieno di benefizio alle nostre anime immortali, cioè, in carità, ma in una carità di specie particolare, viva, liberale, universale, che non si stanca mai di far del bene, e non crede mai di farne abbastanza, che da largamente, e sempre con ilarità, che non aspetta di essere sollecitata, ma previene perfino i desideri di coloro,che per umidità, o per modesto ritegno non si azzardano a rivelare al mondo il loro stato infelice, e che da precisamente a quelli, che hanno bisogno del pane quotidiano, e compiange a un tempo con generosità coloro, che li hanno ridotti alla più abbietta miseria, servendole di sapere che ancor essi son nostri prossimi. Ma questa celeste carità non è stata mai destinata in premio della pigrizia, nè dev’essere indistintamente profusa su quella folla di mendicanti, che infestano di continuo le nostre strade, e fanno un traffico scandaloso di quelle stesse elemosine, che dovrebbero appartenere al cieco, allo zoppo, e ali’ infermo costituiri nella vera impotenza di procurarsi in altra forma il benché minimo sostentamento. Tale è la carità di questa Dama, del di cui ritratto io non fo che presentarvi il contorno.
Seguiamola ora in quelle tetre abitazioni, ove non soggiornano che la calamità, e la miseria, ed ove non si presentano in ogni lato che squallidi volti, vere immagini di morte, avviliti, e languenti, per stento, o per incurabili malattie; Ivi la vedrete ascoltare con lacrime di compassione i singulti degli uni, incoraggire gli altri a tollerar con pazienza le loro afflizioni, provveder questi di cibo, e di vesti, somministrare a quelli dei rimedj atti, se non a guarire, a mitigare almeno i loro dolori, e piegarsi perfino ad astergere ad altri o con vino, o con olio le cancrenate lor piaghe. Concedetemi poi che vi conduca in una fredda, e miserabile soffitta, in una casa ignuda situata in luogo solitario, remoto, e fangoso; costà voi la vedrete compartire segretamente le sue elemosine a quelle sventurate famiglie, che la vergogna nasconde alla pubblica vista; uditela, con qual zelo, con qual fermezza Ella anima i freddi cuori a correre all’assistenza dei nostri simili, che in questi tempi di pubbliche calamità, non potendosi valere dei loro talenti, o della loro industria, sentono con troppo rammarico tutto il peso della più marcata, e dolente miseria.
Ma eccomi giunto, Fratelli miei dilettissimi, a quel punto del mio ragionamento, che riempirà di afflizione i vostri cuori, e infonderà sommo, ed inesprimibile dolore in quello dell’illustre sposo di Lei, che vi ho finora dipinta nelle differenti azioni della sua vita, come se rappresentasse tutt’ora la sua parte sul teatro dei mondo; eccomi, io dico, a manifestarvi il tristissimo annunzio, che la Baronessa Giacomina Schubart, non è più nel numero dei viventi. Ella è morta. Sì, miei Fratelli, Ella è morta, ed è in lei trapassata la più tenera affettuosa consorte, la vera amica, la più grata, e piacevole compagna, in una parola, il più bell’ornamento del bel sesso! E che! tante virtù, tante eccellenti qualità possono racchiudersi in un fragil vaso di creta! Sì: per segreto cenno dell’ Altissimo questo vaso si è franto, le particelle, che lo componevano, si sono disciolte, e ridotte in quella terra, di cui erano formate, e lo spirito immortale, che poco fa rinserrava,ha spiegato verso il Cielo il suo volo per godere nel Divin Paradiso un’eterna felicità.
Nel perdere tanto inapprezzabile tesoro, non cessiamo peraltro di adorare la mano, che ce lo die per un tempo, e poi ce lo tolse. Raccogliamo piuttosto con diligenza li sparsi frammenti, i preziosi avanzi di una vita dedicata alla pietà, alle scienze, alla beneficenza.
Ecco la sorte felice, ed invidiabile delle anime immacolate, e buone. Sentono esse all’appressar della morte un certo coraggio, un certo ardore non proprio dell’uomo, e che il Cielo all’uomo inspira per mitigare gli angosciosi contrasti della separazione dell’ anima dalla frale caduca sua spoglia. Questo spirito celeste, ed immortale concentrato in se stesso, crede vedere ad ogni momento le porte dell’Eternità aprirsi avanti di lui per riceverlo nell’ infinita Beatitudine. Le nubi dei terrestri vapori, che compongono le nostre passioni, cominciano a dissiparsi, e il velo, che cela quaggiù il vero,insensibilmente sparisce. Le sue brame divengono tanto più ardenti, quanto più Egli si avanza verso la meta del suo viaggio, e il bene, che ha fatto in questo terreno pellegrinaggio, si affretta a raccogliere la dovuta ricompensa, la grazia di condurlo, ed assorbirlo in un abisso di estatica beatitudine, e gloria eterna. Mentre noi poveri, e sconsolati mortali contrastiamo su questa terra con le nostre sfrenate passioni, fra illeciti desiderj, e con tutti i mali, che sono ai nostri deboli corpi riservati, il di lei spirito immortale gode del più dolce, e santo riposo. E sebbene le amicizie, e gli affetti, che qui contrasse, siano indissolubili, e s’interessi in conseguenza nell’alto dei Cieli anche in favore degli amati oggetti, che si è dietro lasciati, pure tant’è l’immensità, e l’effusione della celeste beatitudine, che quei teneri, e benefici sentimenti sono in certa guisa assorti, ingolfati, e sospesi, finchè l’unione formata su questa terra fra loro, non sia rinnuovata nei Cieli per durarvi eternamente.
Ahi, me lasso! Tutti risentiranno per lungo tempo le conseguenze della di lei perdita, ma particolarmente i poveri, dei quali Ella fu costante, e liberale benefattrice. Ella riposa. Possa il di Lei esempio eccitare noi tutti all’emulazione, onde possiamo sperare d’ottenere, come Lei, la futura felicità. Ma temo il contrario, poiché credo che molti fra noi vivano, com’io diceva, senza riflessione. Rimirando la più gran parte degli uomini in una continua agitazione, e con ardenti desiderj spingersi in traccia d’oggetti posti in smisurata distanza, sono forzato a concludere ch’essi credono di essere immortali, e che la loro vita debba eternamente durare. Rammentino anzi, che i pochi infelici giorni, che compongono lo stato di nostra terrena esistenza, scorrono insensibilmente, e secondo le parole dell’ Apostolo come = un vapore, che apparisce per poco,e presto si dilegua =. Tante ore, tanti minuti fa risuonar l’orologio ai nostri orecchi, altrettante ore, ed altrettanti sono i minuti, che si sottraggono alla nostra durata, e giù si trascinano per la corrente del tempo, in guisa che presto arriviamo al termine inevitabile, quando ci credevamo appena giunti alla metà del cammino. L’incantesimo cede,e tutto quello, che ci sembrava diletto, sparisce con noi. L’incertezza, l’instabilità, e la fragilità della nostra vita, debbono bastare ad avvertirci della vanità, della follìa, e della leggerezza di tutto ciò, che in questo basso mondo si trova, ed a risolverci di fare incessantemente la nostra pace col Cielo. Lo che piaccia di accordarci al nostro Signore Iddio per mezzo della sua infinita misericordia, e per l’amore del caro, ed amato suo Figlio Gesù, nostro Signore, e Salvatore, dei quali, unitamente allo Spirito Santo, sia ogni onore, possanza, maestà, e gloria, ora, e nei secoli dei secoli; E così sia.

Generel kommentar

Dette er den trykte og oversatte begravelsestale over Jacqueline Schubart, der døde 5.2.1814Montenero. Hendes aske blev gravsat på kirkegården til den engelske kirke i Livorno, hvor Thomas Hall var præst, jf. Herman Schubarts brev af 26.3.1814.

Thiele
Ikke omtalt hos Thiele.
Personer
Accademia Italiana · Jacqueline Schubart
Sidst opdateret 19.12.2017 Print