No. 6848 af 10319
Afsender Dato Modtager
Luigi Biondi
Gustav Pfizer
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Milano

1836 [+]

Dateringsbegrundelse

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Omnes
Resumé

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Se original

NEMESI
DEL COMMENDATORE
ALBERTO THORWALDSEN
(BASSORILIETO ALTO CENTIMETRI 95, LARGO METRO 1,90)

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Disse Aristotele, Nemesi essere stata così chiamata dallo spartire ch’ella fa tra gli uomini tutto ciò, sia di bene sia di male, che a ciascheduno, secondo il merito, si appartiene. Perciò, comechè alcuni la sola vendetta a Nemesi volessero tribuita, meglio videro i più, che tennero significarsi in lei la giustizia della Provvidenza, la quale così protegge i buoni come castiga i malvagi. Il perchè Platone appellò Nemesi nunzia della giustizia ; altri la nominarono tutela santa ; altri la confusero colla Fortuna : perocchè ciascheduno colle opere sue, degne o di premio o di pena, è artefice della sua fortuna a sè stesso.

DEAE . NEMESI . SIVE .
FORTVNAE

leggesi in una iscrizione riferita dal Grutero.

Il celebre Commendatore Thorwaldsen, nel rappresentare Nemesi in bassorilievo, ha seguita la dottrina di Aristotele e di Platone. La giovine Dea, vestita alla greca di semplice tunica senza maniche, e di manto che le cade giù dalle spalle, apparisce posta sopra una biga di antica foggia, d’onde governa gli aggiogati cavalli. De’quali l’uno move con regolato passo, l’altro ricalcitrando s’impenna. Quello simboleggia gli uomini che seguono rettitudine , questo coloro che ne declinano. Scolpì l’artefice un cane presso le zampe anteriori del cavallo ubbidiente al freno, a dinotare che fedeltà, come scrisse Tullio, è fondamento di giustizia. Nè consentì che la Dea si mostrasse adirata inverso l’altro; ma volle che con temperato viso il mirasse, e, stringendo colla sinistra mano soavemente le redini, accennasse a quell’indocile col flagello, che ha nella destra , ma non si atteggiasse a percoterlo. Ed ebbe in ciò soavissimo accorgimento: imperciocché, al dire di Platone, ivi non e giustizia dove non è temperanza: e debbono i legislatori aver cura più ad emendare i costumi colla dolcezza che a punire le colpe colla severità delle pene.

Sieguono la biga due fanciulli di sembianze nè al tutto uguali nè al tutto diverse, come a fratelli conviensi. L’uno impugna colla destra mano, e appoggia sul corrispondente omero la nuda spada; l’altro ha nelle mani più corone, e un caduceo, e un cornucopia. Quegli è simbolo della giustizia correggitrice, a che allude la spada; questi è posto a significazione della giustizia che premia, a che alludono le corone. Alle quali ben si aggiunsero il caduceo per dinotare concordia, e il cornucopia per dinotare abbondanza : imperocché, siccome disse Platone, giustizia partorisce concordia nelle città, e queste per concordia fioriscono, e abbondano in ogni maniera di beni. Il fanciullo che ha le corone vedesi alato : non così 1’ altro : immaginazione veramente filosofica! conciossiachè debba La giustizia correre, anzi volare alla largizione de’premj, e per l’ opposito andare di passo alla necessità delle pene. Ma il saggio artefice non diniegò le ali alla Dea, fattosi in ciò seguitatore de’ Greci che effigiarono Nemesi a grandi ale, con che dinotarono la prontezza della giustizia celeste nel discorrere l’universo, e nel farsi presente a tutti per ogni dove. E volle di fatto effigiarla come viaggiatrice del cielo e vi pose indietro il zodiaco ornato dei noti segni: e collocò nell’alto mezzo il segno della libra, significato da nudo genietto alato che colla destra mano sostiene le bilance, colla sinistra addita la Dea; il cui precipuo ufficio sta in librare con giusta lance il bene e il male, il premio e la pena.

Sull’ orlo superiore del carro leggesi Nemesi : sull’ orlo della ruota a sinistra, che sola apparisce, sono a uguali intervalli disposte queste parole Ventura . Ubertà . Sventura . Penuria. E già di sopra ho detto come la Dea Nemesi confondevasi colla Fortuna, e come dal vivere rettamente nasca ubertà di ogni bene, e dal contrario se ne derivi penuria.

Non dirò nulla della bellezza di questo lavoro, perocchè è niegato al nostro instituto di entrare in lodi: e a tale uomo qual è il Thorwaldsen ogni mia lode sarebbe scarsa. Ma sì dirò che nel trattare questo argomento egli non solo si dimostrò grande scultore, ma sì pure profondo filosofo, e immaginoso poeta.

(Dall’Ape Italiana; del Marchese L. Biondi Direttore dell’Accademia Piemontese in Roma, Tavola 3.a del Tomo II, al foglio 5 del 1835.)

NEMESIS.

(VERANLASST DURCH THORWALDSENS RELIEF)

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Vergessen und geleugnet von den Hohen,
Die nie getroffen deines Speeres Schaft,
Verspottet und gelästert von den Rohen
Den troz’gen Sklaven frecher Leidenschaft,
Und von den Unverständigen geflohen,
Die schmachten in der Furcht und Blindheit Haft:
Vermagst du nur dem klaren Blick der Reinen,
Als ernste, milde Gottheit zu erscheinen.

Wie oft gewaltsam, nach zerriss’nen Dämmen,
Ein Strom verheert die segensvolle Flur,
So drohet seine Mark zu überschwemmen
Ein Geist, verlassend heil’ger Ordnung Spur,
Ob Kraft und Klugheit sich dagegen stemmen
Sie mehren Widerstand und Troz ihm nur;
Doch plözlich ist des Wilden Bahn geendigt
Und er von deinem starken Arm gebändigt.

Nicht Helden nur und Kön’ge–dich empfindet
Im tiefsten Innern jedes Menschenherz;
Dein Arm, der nie noch fehlgegriffen, findet
Für jede That den Lohn: ob Lust ob Schmerz;
Mit scharfer, doch geheimer Grenze bindet
Er Kühnheit, Hofnung, Trauer, Jubel, Scherz,
Und deinen Kreis, von Zucht bewacht und Scheue,
Hat keiner überschritten ohne Reue.

Weil du, Erhab’ne, nicht im breiten Gleise
Des offenbaren Weges sichtbar fährst;
Weil du, in das Geheimniss deiner Weise
Oft selbst Propheten keinen Blick gewährst,
Und, in der goldnen Burg von Wolken, leise
Den Tag der Zukunft lang am Busen nährst;
Drum klagen, suchend deine Spur, die Blinden
Du seyest nur im Reich des Wahns zu finden.

Du aber lebst und waltest. Deinen Rossen,
Die nimmer altern, wird die Kraft nie matt,
Nie wird das Ziel verfehlt von den Geschossen,
Die deine sichre Hand geschliffen hat;
Du schreibst in Tafeln, die aus Erz gegossen,
Schreibst dein Gesetz nicht in ein welkes Blatt.
Du hältst die Riesenhallen der Geschichte,
Wie Atlas den Olymp, im Gleichgewichte.

Und wie du dem Verächter goldner Mitte,
Dem Stolzvermessenen, den Nacken beugst;
Wie du, gerührt von frommer Unschuld Bitte,
An deiner Brust das Kind der Strafe seugst;
Und Schirmerin der Zucht und edlen Sitte,
Aus deinem Schoosse Maass und Ordnung zeugst:
So magst du gern aus starken Künsllerseelen
Die Priester deiner Offenbarung wählen.

Hier tritt, geformt aus schimmernd weissem Steine,
Dein Bild entgegen der erstaunten Welt;
Es trägt den Stempel jener heil’gen Reine,
Auf die kein Schatten eines Frevels fällt;
Es glänzt in eines höhern Lehens Scheine
Als welches dem profanen Sinn gefällt –
Der Kunst Triumph, die hier mit Erdenstoffen
Selbst des Gedankens Hoheit übertroffen.

GUSTAV PFITZER.

(Nach des Dichters erster Mittheilung aus Rom – Später im Morgenblatt N.° 8, vom 9 Januar 1836, im Druck erschienen.)

Generel kommentar

Dette er et hæfte fra 1836, som omhandler Thorvaldsens relief, Nemesis. Her er gengivet en værkbeskrivelse på italiensk af L. Biondi og et digt på tysk af G. Pfizer.

Arkivplacering
M16,8 (Thorvaldsens Museums Småtryk-Samling 1836)
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Bertel Thorvaldsen
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Sidst opdateret 30.06.2015 Print