Firenze al di 19 Maggio 1819.
Un’altra lettera da me, forse non puo parervi che un’altra seccatura. Almeno sarà l’ultima o a voi o ad altro. Sto per morire, e ricordandomi che m’avete domandato (benchè non so come poteva giovare o importarvi nella minima cosa) di continuarvi la mia amicizia, mi pare che l’ho negato non potendo continuare l’opinione che avevo una volta concepita di voi. Ma mi viene a mente che nelle curcostanze presente non puo tornare a male il darvi mi ultima notizia. Giacchè non posso imaginare, anchè dopo tutto quel che ho veduto, una cosi totale indifferenza di non voler sapere qualche cosa di me in questa situazione. Soffro un rimorso continno delle pene che ho fatto alla mia cara Carolina per ricompenza di tutta la sua bontà per me. Venendo qui stavo tanto male che ci siamo fermate per strada, ed arrivate in questa città abbiamo trovato che nostra zia colle quale era fissato di continuare il nostro viaggio fin all’Inghilterra era già andato via, avendosi solamente aspettato un giorno e non avendo ricevuta una lettera che Carolina l’aveva scritta per spiegare le cagioni del nostro indugio, cosi lasciandosi due ragazze in circostanze singolarmente delicate ed infelici, senza anche un domestico maschio, in una locanda publica e col prospetto d’un lungo e solitario viaggio, sapendo che col cambiamento dei miei progetti abbiamo lasciato l’amica che era tanto anziosa di condurei ai bagni di Lucca. Non vi avrei dato il fastidio di questo racconto, ma può provarvi che non siamo state ingiuste nelle nostri osservazioni sopra quella persona. Come dice Carolina è quasi la sola che mi avrebbe veduto ultimamente in Roma senza immaginarsi che una mancanza di anima ed in consequenza di salute mi resero poco capace di profitare d’un viaggio, anzi so adesso che diversi l’hanno detto una pazzia in me di pensare ad una tale impresa senza acquistare prima un poco di riposo e di forza. Ma altre volte ho trovato il viaggiare la cosa che mi giovasse il meglio, fortificandomi nell’istesso tempo l’animo ed el corpo. Grazie a Dio abbiamo trovato qui amici eccelenti, Il Sigr. e la Sigra. Hallyburton i di cui domestici ci hanno accompagnati per strada, e la nostra cara Duchessa di Hamilton che ha per noi tutte le bontà d’una sorella [tilføjet: La nuova cameriera Francese è stata un vero tesozo per noi tanto e attiva ed affezionata]. Possa sperare dunque che la mia Carolina non sarà abbandonata e troverà una società più piacevole che non puo essere adesso la mia. Iddio la benedirà per la benevolenza che ha avuto verso di una disgraziata, il mi destino è stato fare male a quegli che l’amano per spregare le sue cure ed i suoi pensieri ad un indegno. Scusatemi, potete essere degno di tutte le altre cose del mondo, per me non voglio vantarmi, non ne ho le pretensione, ma un cuore semplice ed affezionato vale sempre qualche cosa, agli occhi almeno di chi lo da, e certamente non n’è degna la persona che dopo averlo cercato lo dispressa con ogni modo duro e dispiacevole. Vorrei che la vostra coscienza si svegliasta per capire tutti i mali che m’avete fatto, ma pure non domando altro a Dio che di perdonarmi come io vi perdono. Vi sono genti al mondo che mi vogliono bene, che avevano imparato da me a stimare ed amarvi, a loro non sarà tanto facile il perdonarvi, ed adesso non ponno darvi altro che maledizioni. Ricordatevi quando Mr. Hay era in Roma, dacchè quasi mezz’am.o è passato, egli come amico di ambedue vi proponeva un progetto al quale non avete fatto altro ostacolo che il gran dispiacere che vi farebbe lasciare la moglie (era questo molto sincero). foss’io stata savia, con più pratica del mondo e meno confidenza nel vostro cuore, avrei dovuto a questo posso conoscere il cambiamento de’vostri sentimenti per me – poco dopo io vi ho detto di non poter vedere tutte le difficoltà che voi aveste trovato nei nostri affari, al quale m’avete risposto d’una maniera troppo sdegnosa, “tutto è facile a voi che non sentite niente” l’accusazione fin per me strana e nuova. Qualche volta m’è stato un soggetto di rimprovero il sentire troppo, anzi lo trovato nell’istesso tempo colpa e castigo, ma secondo il vostro proverbio, “il tempo scuopre tutto” e forse troverete un giorno quando avete ben conosciuto il mio carattere. Adesso daviero, grazie a voi, niente mi pare tanto facile che morire, [tilføjet: Anzi avrei paura di vivere, temerei di non fidarmi più ai veri amici, non goderei più anchè del piacere che aveva nel vedere una buona fisionomia giacchè quella che ho vantato come la migliora l’ho trovato la più furba.] ed il dispiacere che avrei di fare pena a mia sorella ed a quegli che mi aspettano a casa è diminuita coll’idea che sarebbe peggio per loro di vedermi infelice, e chi puo essere altro dopo di aver messo tutte le sue speranze in un carattere che si confessa dopo, essere l’opera solamente d’un imaginazione troppo vivace e poetica, che avendosi fatto mi idole l’aveva adornato di tutte le belle e buone qualità ed in consequenza si trover ingannato. Ma ho detto troppo di me stessa. Vorrei sapere solamente se dopo la morte mi farete più giustizia che non m’avete fatto vivente – chi sa? o che m’importerà? forte anche non vi ne verrà un pensiero. Non oso più giuchiare di voi, ho già fatto tanti sbagli.
Vi auguro un buon viaggio, la natura e tanto bella a questa stagione che deve far bene a chi ha l’anima in pace. Non so se la vostra abbia il dritto di essere cosi felice. Vorrei pregarvi un’altra volta se potete trovare dei miei bighlietti o lettere, di mandargli insieme con questa a mia sorrella – dandogli al Dr. Davidson egli se ne carichuà di fargli capitare voler.
Avendo reccutemente inteso che voi avete attribuito il vostro cambiamento a quella lettera ch’io vi aveva scritto torno a dire che al contrario, il vostro cambiamento fu cagione della lettera, ma quando voi m’avete detto che in questo passo io vi aveva fatto tanto dispiacere, e che per mi pezzo dopo ho veduto le vostre maniere più amichevoli verso di me, questo m’ha un poco rassicurato e forse è stato il più fatale inganno per me, perchè il piacere che ho provato in questa idea, e la pena che aveva prima, m’hanno fatto conoscere la forza de’ miei propri sentimenti. Credetemi che in tutto quel che ho detto o scritto gli altri sopra questo soggetto ho fatto il mio possibile per levare ogni bias[i]mo della vostra condotta, questo puo essere un’altra prova del mio amor proprio, che avendo sempre detto tante belle cose di voi non voleva subito mostrare quando m’era stata ingannata.
Non sarà poi colpa vostra ch’io vi ho creduto quasi un Angelo, ma certamente è colpa vostra l’essere il primo e più terribile nemico di una che con troppo semplicità vi ha creduto ed in consequenza amato. Posso almeno sperare che per i mezzi vostri Dio m’ha punito di tutti i falli miei, compreso quello di essermi fidato a voi. Oso conchiudere (tanto sono ardita) col pregarvi d’un favore. Degnate intervenire al funerale di colei che altre volte trovava tanto piacere nel chiamarsi
Vostra Francesca.
Sarebbe meglio brucciare questa lettera e non mandarla alla sorella.
No. 2247 of 10319 |
Sender | Date | Recipient |
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Frances Mackenzie
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Sender’s LocationFirenze Information on senderBrevet har været lukket med et sort laksegl. I seglet er præget en oval med et slyngmonogram af initialerne “FCM”. |
19.5.1819
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Dating based onDateringen fremgår af brevet. |
Bertel Thorvaldsen
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Recipient’s LocationRom Information on recipientUdskrift: Al Signor / Cavaliere A. Thorwaldsen / Via Sistina / Roma. |
AbstractThe commentary for this letter is not available at the moment. |
General Comment | |
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Kommentarerne til dette brev er under udarbejdelse. | |
Archival Reference | |
m35 V, nr. 18 | |
Persons | |
John Hay |
Last updated 26.08.2015
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