Chiarissimo Sigr. Cavaliere, Amico, e Padron mio singolare.
di Firenze 5. Xbre 1829
Dal gentilmo: Sigr. Carlesi, che ha avuto la fortuna di essere suo discepolo, ho ricevuto solo questa mattina il suo cortese foglio datato li otto agosto scorso. La prova della continuazione della sua benevolenza, che mi dà nelle affettuose espressioni di questa lettera mi empiono di consolazione, come mi avea rattristato il suo, lungo silenzio. Ora conosco che il suo bell’animo è fido alle leggi dell’amicizia, e degno di adornare un uomo di si preclaro ingegno, di si alta fama, e di un merito tanto sublime. La ringrazio adunque quanto sò e posso del bel contento, che ha sparso nel mio cuore: e se accaderà come ella mi fà sperare, ch’io possa abbracciarla in Firenze, sarò lieto di una giocondità inarrivabile. Intanto, se il suo allievo mi commanda, cercherò che vegga in qual conto io tenga la sua raccomandazione.
Circa le dichiarazioni per me dettate de’ suoi marmi immortali, mi veggio ricompensato largamente quante volte abbiano ottenuto il suo aggradimento, e l’approvazione del mondo. E non è forse un premio ambizioso unire il debile suo nome, a quelle splendidissimo del famoso Thordvalson ? Tuttavia, se nel suo venire a Firenze Ella mi vederà un esemplare di questo mio lavoro lo gradirò assai, anche per quello specialmente, che mi rammenterà ogni giorno la nostra antica consvetudine.
In quanto poi al Sigr. Acquistapace, se vorrà mandarmi una piccola bagatella, un qualche ricordino, lo terrò in conto di preziosa rimembranza della sua cortesia. E già ne avea scritto al Sigr. dottor Valori, col quale potrà combinarsi: Ma ripeto: tutto senza suo incommodo, e dispendio.
Ella poi mi ricerca la prima, e verace cagione del mio allontanamento da Roma: Or bene: io gli la voglio rivelare schiettamente.
Sappia adunque carmo. Sig. Cavre., che appena, che fù morto il Canòva una Società di Speculatori, imprese a riprodurre in Venezia la ristampa di tutte le sue sculture. Si volea, che esse stampe fossero accompagnare da un breve testo: e fù scritto a me per tale oggetto. Io risposi, che avendo illustrato le opere del Canòva in versi, o in prosa, ed avendone data una dimostrazione anche nella vita sua, non avrei saputo più dire cosa alcuna di nuovo. Farono tante le insistenze fattemi, che alla fine, per l’interposizione della Sigra. Contessa Pappafava, duchessa di Fiano, io accettai questo assunto, e mandai a Venezia diciotto dichiarazioni pei primi fascicoli.
Più di un anno dopo venne apprensione al Papa Leone XII., che le stampe delle opere del Canòva potessero offendere la pubblica morale, e ledere il buon costume, e perciò comprati tutti i rami, e tutte le stampe dall’Illmo. Mr. Canòva, le stampe fece ardere, e dei rami parte ne rase, e parte fè vestire le figure.
In questo fratempo gl’Intraprendenti di Venezia aveano ultimato i rami pei primi fascicoli, e mandavano in giro loro Commessi per fare abbonati. Questi vennero a Roma appunto in quella, che si radevano i rami del Canòva. Alcuni zelanti recarono al Papa i fascicoli di Venezia, dicendo che nel mentre esso si prendea tanta cura per torre dal commercio questi rami, essi veniano riprodotti in Venezia, e per più scandalò con un commento del Segretario dell’accademia di Roma. Il Papa andò sulle furie, e in vece di verificare, che io avea accettato quell’impresa più di un anno prima, da gli venisse: quel pensiero, ch’io non potea essere indovino de’ scrupoli suoi, che i marmi di Canòva non hanno in sè nulla d’impudico, ch’io avea assunto di scrivere quelle dichiarazioni protestandomi di farle gratuitamente, e per sola venerazione al nome del Canòva, e per grata rimembranza della bontà, ed amicizia, che avea avuto per mè; credette che tal cosa fosse fatta appunto per fargli dispetto, e mi confino nel convento di San Giovanni, e Paolo, e vi sarei ancora, se l’ottimo Cardinale Bartazzòli non si movea a mia difesa, e non gridava alto all’ingiustizia. Questo duro trattamento per un oggetto innocente, anzi generoso, e degno di lode, dopo avere io fatto tanto per le arti romane, mi fece cadere in un dolore estremo, ed in una specie di delirio, e l’accerto, che la mia vita è stata più volte in grave pericolo. Perciò deliberai di venirmene in Toscana, rimettendomi unicamente nelle braccia della divino Provvidenza: quindi venuto quà, e caduto poi, come ella sà, e sentendo, che s’ingiuriava il mio nome con villane invenzioni, decisi di rinunciare, e rinunciai!: Ma non rinunciai però, e non rinunzio di essere degli amici tutti, e di Lei! affmo
Melchior Missirini
P.S. La prego proteggere la mia causa nell’accademia, per quello che graziosamente decretò a mio favore.