No. 153 af 10318
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Se original

La discesa di Cristo all’Inferno

Poi che il gran sagrificio ebbe compito,

Alle fumanti porte dell’inferno
Il Messia comparì di sol vestito.

Ove era scritto sul fronton superno:

Voi che venite a questo passo atroce
Pensate, che l’esiglio è sempiterno.

Quelle percosse col pie’ della croce

E divelse dai cardini ferrigni
Si rovesciar sulla perduta foce.

A tal rimbombo i Demoni maligni

Confusamente in folla accorser tutti,
E con fuoco ed enormi aspri macigni

Per ritardar gli antiveduti lutti

Fer siepe a quell’irremeabil varco
Ove i dannati spirti eran condutti.

Ma sgominossi, ruinando in arco

L’alto sovrano in faccia a Cristo aprissi
E i fabbri sep[p]ellì col gravo incarco

Un gran tremuoto a tal rovina udissi,

E come acceso Mongibel veggendo
Pluto celossi nei più ciechi abissi.

Tale il Possente nel Limbo giungendo

Col segno di vittoria nella mano
Parer fe un Paradiso il loco orrendo.

Al comparir del Redentor soprano

S’inginocchiaro i Patriarchi santi,
Che tant’anni l’aveano atteso invano,

E a baciarne le piaghe folgoranti,

Ed a bearsi nel divino aspetto
In ordin lungo gli venian davanti.

Primo giungea quel vecchio Benedetto,

Che lavorò cent’anni intorno all’Arca
Solo a salvarsi nel diluvio eletto.

Abram seguia l’antico Patriarca

che al comando di Dio lasciò Caldea
per far di grazia la sua stirpe carca.

E presso Isacco l’umil figlio avea,

che qual vittima offerse in sull’altare
quando sperimentarlo Iddio volea.

Seguia con chiome biancheggianti e rare

Giacobbe sulla verga pastorale
Reggendo il foglio dell’etadi avare.

Seco avea Beniamino, e l’immortale

figlio, che al carcer per serbarsi casto
volle passar dalla maggion reale.

Seguiva in ordinanza un drappel vasto,

Ed eran quei che nel fecondo Egitto
Ebber con Faraon duro contrasto.

E guida era colui, che fe tragitto

Eserciti a condur dal pascer tori,
Nei boschi, e nella reggia, e in campo invitto.

D’avan quei, che in quarant’anni d’errori

fur nel deserto, e quei che fer cadere
Gerico delle trombe coi clangori.

E Gedeon che d’infinite schiere

scelse i trecento, che passando il fiume
Vide non pigri nelle palme bere.

E Samuel, e Natan di lume

Profetico dotati, e il Re Salmista
Che unir l’arpa col brando ebbe in costume.

Poscia incedea del tempio il sommo artista

Di tutti i sapienti il Sapiente
Del tardo fallo addolorato in vista

Danièl, ed Esdra, e Geremia piangente

E Giuda Maccabeo, e in mezzo a tanta
Dell’Ebraico regno orrevol gente

Tutto era il tronco dell’ buona pianta

Nata da Jesse, e da’ cui rami usci[t]o
Di Nazarette la famiglia santa.

Venian da tergo agli eletti d’Iddio

Le donne dello testamento antico
In bei cori adunate in atto pio.

E prima Sara che nel sen pudico

Portò vetusta la beata prole
Che si unì con Rebecca al pozzo aprico

Debora, ch’ebbe l’Oceano, e il Sole

Per confin di sua fama, indi Giaele
E Giuditta in disparte andavan sole.

A coppia ivano ancor Lia e Rachele,

Ed Ester, che con poche lacrimette
Placò Assuero, e liberò Israele le

Seguiva Abigaël, che le vendette

Frenò del vincitor di Tenebinto
Quando supplice a’ suoi piedi cadette.

E da più donne, lo cui nome vinto

Fu dal silenzio dell’età passate
L’onorato drappello era distinto_

Non così spesse al termin dell’estate

Dai bruni rami cadono le foglie
Se dibatte Aquilon penne gelate

Quant’alme sciolte dall’umane spoglie

Veniano incontro al Salvator cruento,
Che avea spezzato le tartaree soglie.

Solo sul petto declinando il mento

Adam restava, e col crin lungo sciolto
Mentre alla nudità fea velamento

Eva al fianco di lui piangeva molto

Per la memoria del primo peccato,
Con gl’occhi bassi, e vergognosa in volto.

Sclamogli il Verbo: il Padre mio placato

Oggi meco vi attende in Paradiso,
Che il regno di Satanno è terminato.

Disse, eraggiando d’un divin sorriso

I consorti, che al pie’ cadeangli proni
Fea alzar da terra, e serenogli il viso.

E dell’Inferno gl’ultimi gironi,

E d’adamante le volte roventi
Ripetean queste voci in lunghi suoni.

Felice colpa dei primi parenti,

Se per lei volle il Sir dell’universo
Trionfando salvar l’umane genti.

Intanto il ceffo orribile e diverso,

Agli scheggioni dei balzi affacciando
Miravano del bruno aere attraverso

I Demoni, il Signore bestemmiando

E di lor creazione il tempo, e il loco,
E il dì ch’ebber dagl’astri eterno bando.

E fuor del più lontan stagno di fuoco

Dalla cintola in su Lucifer sorto
Mordea la coda già dal pianger fioco.

Così lupo sbranato, e quasi morto

Dal Leon, di lontan rapir gli mira
La preda fatta dal suo dente torto.

Quella a difender lo sospinge l’ira

Ma il timor dei gran denti, e dei gran volli
A fuggir lo richiama e lo ritira.

E omai partiasi il Salvator con quelli

Eletti, come seguela da immenso
Maraviglioso esercito di augelli,

Dall’odorato rogo in India accenso

Sull’ali d’oro la Fenice vola
A nutrirsi di lagrime d’incenso.

Mentre salia David con la Carola

Che fe trescando anzi l’arca del patto
Movea sull’arpa armonica parola.

Cantando: o Santo che una volta hai fatto

Quanto ha figura e intelligenza, e quanto
Fu visto nel mirabile riscatto

Sij benedetto, unico Re cui manto

E’ il firmamento, e base al piede i mondi
E rispondean le barbe santo santo.

E Santo i cori angelici e giocondi,

E santo santo rispondeano i Cieli
E dell’abisso i violati fondi..

Così a noi dell’error squarciati i veli,

Incatenata col morir la morte,
E d’Erebo gli spiriti crudeli,

Tornando Cristo nell’empirea corte

Di mille tube angeliche allo squillo
Della Città celeste in sulle porte

Spiegò del vinto Inferno il gran vessillo

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m33, nr. 68
Sidst opdateret 11.09.2018 Print