Angelo Maria Ricci
Pisa
Omnes
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All’Insigne
COMM.RE THORWALDSEN
A. M. Ricci
S.
Io non saprei se prima l’amore, o il dolore abbia fatto nascere al mondo le arti, dacchè l’uomo sentì d’avere un c[u]ore in petto. So che amendue dettarono a me questi versi, che io piangendo scrivea sulla tomba che Voi poneste alla memoria per me lagrimevole e cara d’Isabella Alfani già mia Consorte. E poichè que’ due elementi d’ogni vicenda della vita, e d’ogni bello delle arti fecero i vostri marmi eloquenti; io mi lusingai che infonder potessero del pari alcun movimento e calore alle mie rime infelici. Comunque ciò sia, se le flebili corde della mia lira avessero tanto potere da ridestare in Voi quasi per eco quelle dolci sensazioni che provaste nello scolpir cose ed istorie d’un puro amore, o di richiamare almeno qualche sospiro che vi fuggì dalle labra quando modellaste argomenti di dolore, ed opraste il massimo de’ prodigj qual’è quello di far sentire altrui ciò che sentiva il cuor vostro; i miei versi, che non sopravviveranno al mio dolore, avran toccata la meta a cui miravano, paghi d’un bel momento in cui gli accoglierete pietoso, e poi contenti di perire dopo tanta gloria. Addio.
[...]
AL
COMMENDATOR THORWALDSEN
AUTORE DEL MONUMENTO, CHE SI DESCRIVE
–––––––––
ELEGIA I.I
Scultor famoso, a cui svelò del Bello
Le prime forme il Giove a Fidia amico,
Che cesse a Te l’argolico scalpello;
Tu sol potevi in men ch’io piango e dico
Innalzarmi pietoso un monumento
Che me raggiunga al cenere pudico
Di Lei che fummi cagion di lamento
Sol quando (ahi Morte più poteo che amore!)
M’ebbe de’suoi begli occhi il lume spento;
Ed io sentii mancarmi ogni vigore
Da me disgiunto, ond’arco il dir m’è grave,
Chè in me sol parla le metà del core.
Tu con quell’arte che d’obblìo non pave
Desti forme e sustanzia al mio pensiero,
Onde altrui se fe’ noto, e a me soave,
Allor che il Genio dell’Amor sincero
Scolpisti su quel sasso ove non tace
Il cener caro, e vi scolpisti il vero.
Mesto appoggiato alla riversa face
Il veggo sì che d’una all’altra mano
Fa letto, e d’ambo al volto, e aspetta pace.
Un non so che di flebile e d’arcano
Gli si diffonde sul sereno viso,
E par che ascolti squilla di lontano,
O il suon che alle nostr’alme il fral diviso
Rannodi in una carne, ond’io nel cielo
Un dì rivegga il disiato riso.
Sotto le man conserte un sottil velo
S’avvolge a quella face, e par lavoro
D’amorosa farfalla in verde stelo;
E questo è il vel che pieno di decoro
Vestì l’affaticata anima bella
In questa valle del commun martoro
Pria che tornasse alla natìa sua stella
Scorta del Genio, che in sembianza onora
Qui la sua tomba, e che abitò con ella:
Nè tutte al dorso ha ripiegate ancora
Quell’ali che farìano invidia ai Venti
Che soglion fidi accompagnar l’Aurora;
Poichè forse in quegli ultimi momenti
In che fu tolta all’amor mio Colei
Con cui tutti periro i miei contenti,
Volea per la peitade insiem con Lei
Trarmi là dove tutto in Dio si vede,
E dove in suo candor la rivedrei!
Che se un dì l’amor nostro avrà pur fede
Da questi marmi tuoi, Scultor famoso,
Cui ritarre il pensiero un Dio già diede;
Di quà passando il peregrin pietoso
Dirà fra se: Sia pace a Lei che visse
Amata al par dal riamato Sposo.
Tal di Penelopea, così d’Ulisse
Vive la fede ancor pel sommo Vate
Che di lor prisca fè cotanto scrisse.
Or d’Isabella mia forse le grate
Ceneri, lieve sentendo la terra
Farsi dalle tue lapidi animate,
Fia che balzin di pietà, e se pur guerra
Non fa Morte ad un cor che a tutti apria
Colei che senza sdegno andò sotterra;
Sorga la generosa anima pia
Dalla quïete della gelid’urna
Fatta più bella e più gentil che pria;
E al baglior della lampada notturna,
Che ne imbianca l’avello, e finge il giorno,
Dolcemente pensosa e taciturna;
Volgendo il guardo riposato intorno
Rivegga il Genio che con Lei movea
Di più d’un raggio della vita adorno.
E così (fra se dica) esser dovea
Quel puro Genio che guidommi in questi
Luoghi dov’io sol vìdilo in idèa.
Quindi a mirarne i lineamenti onesti
Goda quaggiù di soffermarsi alquanto
(Chè si pascon del bello anco i Celesti).
Ma quinci e quindi al fido Genio accanto
Sculte in veder le fìale lagrimali
U’ sta de’ figli e di me lasso il pianto
Poichè non lice a Lei di noi mortali
Le lagrime asciungar (qual chi s’invola
Per la pietade) al ciel rivolga l’ali,
E di te, nuovo Fidia, a quel da Nola (1)II
Parli in passando l’alma benedetta
E a Buonarroti facciane parola;
Che seco in cielo il gran Giudizio aspetta,
Che fia qual egli il pinse e tristo e pio
Nello scrosio dell’ultima vendetta,
Quando la fida Sposa al fianco mio
Meco riprenderà la cara salma;
E in un ravvinti nel bacio di Dio,
Di te memori ancora avremo calma.
Denne tekst stammer fra Riccis mindeskrift over sin kone: In Morte di D.A Isabella Alfani Ricci, Elegie del Cavaliere Angelo Maria Ricci, Pisa 1830. Her gengives kun dedikationen til Thorvaldsen (først i bogen) og den første elegi (p. 1-5), der handler om det gravmæle, som Thorvaldsen leverede. Det er en kopi af hans relief, Dødens genius, der i første omgang blev fremstillet 1811-12 som en del af Gravmæle over Auguste Böhmer, se A614,3 og A702.
Mellem dedikationen og den første elegi ses i bogen en radering, der gengiver gravmælet i en landskabelig setting og med en lidt anden arkitektonisk ramme end i den færdige tredimensionelle version, der i dag befinder sig indendørs i sognekirken i S. Giovenale, nær Rieti.
Bogen findes i Thorvaldsens bogsamling i to udgaver, M823 (udgivet 1830 Ancona) og M824 (udgivet 1830 Pisa).
Dødens genius, Tidligst december 1812 - Senest 24. juli 1814, inv.nr. A702 |
Last updated 06.08.2014
Denne første elegi ses i bogen på p. 1-5.
[Ricci har her tilføjet en note, som befinder sig på bogens p. 47:]
Era nata Isabella da nobilissima famiglia di Nola, patria di Gio. Marliano di Nola, che visse a’ tempi di Buonarroti, e fu uno dei restauratori della Scultura.