27.4.1822

Sender

Alessandro Cappi

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Ravenna

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Clemente Cardinali

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Velletri

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Abstract

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Document

SOPRA UN BUSTO
DEL
CAV. THORDWALSEN
LETTERA
DEL
CONTE ALESSANDRO CAPPI
DI RAVENNA
al Signor
CLEMENTE CARDINALI
DI VELLETRI

BOLOGNA
PRESSO ANNESIO NOBILI
1822


Pregiatissimo Amico

Il ch. Sig. Cavaliere Alberto Thordwalsen Danese ha sculto ultimamente in scelto marmo di Carrara bianchissimo un Busto rappresentante S. Apollinare Protettore di Ravenna, ordinatogli da Monsignore Arcivescovo Antonio Codronchi, prelato inteso alle opere di onore. Egli ne ha adorno il nobilissimo suo appartamento, e ne ha avute quelle alte lodi, che si convengono a mecenate delle gentili ed utili arti. E in verità, mio dolce amico, è questo un lavoro cosi eccellente da non poter’ essere abbastanza comendato, poiché non so se fìa concesso il condurre a maggiore perfezione uno informe marmo. Vedendolo necessariamente tu loderesti il senno di quegli antichi, clic istimarono trovarsi la Scultura fra gli uomini per celeste virtù, volendo ciò riferire alle favole di Prometeo, che col foco rapito dalle sfere accese vita nella terra, cui aveva dato effigie umana, ponendo essi il pregio grande di quest’arte nello animare. Da tale Busto apertamente si conosce non doversi tutta la lode del conservamento della Scultura agl’ Italiani, ma ancora ad altre nazioni, come per intero a’ medesimi si debbe l’opera magnifica del ricondurla a quel grado di eccellenza, in che a giorni nostri la veggiamo Imperciocché chi non sa essere stato l’italiano Canova il restitutore della maniera smarrita da qualche secolo, anzi morta di Prassitele, di Fidia, di Lisippo, de’ Scopa, de’ Policleti, che vissero nella valorosa Grecia a’ tempi di Pericle? Laonde l’illustre Signor Marchese Canova piuttosto che restitutore a ragione si vole chiamare creatore del1’ arte, come nella Grecia Apollonio, Agasia, e Glicone, che la ridestarono dopo un sonno di ben trenta Olimpiadi. Questa è lode debita a quel divino ingegno, ed a noi, perché cittadini di una stessa patria: lode, la quale merita di essere scritta senza temere 1’ antica invidia oltramontana.
Ma già vengo a dercriverti, affinchè non si generi in te soverchia noja, il Busto del Thordwalsen, di quello artista, che molti intelligenti affermano avere ornai giunto il Canova, ed anzi essere ito un po’ più avanti non nel genere grazioso, che traspare nell Ebe, nelle Danzatrici, nella Venere bellissima e nell cacciatore Adone, nella tenera Psiche, e nello innamorato Amore, ma nel grave. È di tal genere il lavoro, che mi studierò di descriverti, nel quale lo Autore ha posto, secondo la mia veduta, la vera immagine del grande e del bello. Appena ti si offre innanzi è forza sciamare essere di mano greca: se non che poscia ne distoglie da tale inganno il sapere a quale cima l’arte sia salita. Lo Scultore ti mostra questo Santo Pastore uomo di mezza età non. preoccupato da passione, ma veracemente nella quiete dell’ animo. In quel volto altro non diresti campeggiare, che maestà originata da spirito beato. Della quale ti fa fede la calva testa, il ciglio inarcato, gli occhi a te diretti, se di faccia lo guardi, il naso alquanto rilevato, il labbro inferiore un poco turgido, e la barba, che movendo dalla suprema parte della bocca gli scende bipartita pel mento con bello e naturale ordine. La serena fronte poi, la dolcezza del riposato sguardo, e la semichiusa bocca indicano procedere da beato spirito questa maestà non dissimile da quella, che ammirasi nel Romano Simulacro (al dire di alcuni che lo hanno veduto) dello Imperadore Antonino, i cui aurei coslumi il paragonarono a Numa. Tutte le parti sono scolpite a maraviglia, ed hanno fra loro un’armonia isquisitissima tendente a formare quel dignitoso aspetto: e siccome la Scultura è arte d’imitazione, cosi questo mio giudicio nasce dal confrontarle col bello naturale, a cui con eterna legge ella si debba volgere. I capelli, che gli girano intorno al capo sono veri, gli ocelli non meno; il naso è tale che.ti sembra respiri, non che la bocca: di marmo non pare la barba. Vedi il livido sotto gli ocelli, e le guancic piuttosto asciutte, quali convenivano ad uomo di orazione; le orecchie scoperte sono finitissime, il collo ben tornito: le canne della gola enfiate ajutano il suo respirare, mostrando vivergli dentro un’ anima, e un’ anima di paradiso. Ah quanto mi duole di non essere perito nell’ arte per mettere parole più giuste, e allargare le lodi! Circonda il collo 1’ orlo della dalmatica, sopra della quale ha gittato lo Autore il pallio largo quasi un palmo fatto a foggia di stola: questo gira intorno al petto ed al dosso del Santo lasciando uno de’ lembi dietro alla spalla mancina, ed uno innanzi. Il pallio è tutto finamente lavorato, ed il lavoro è di vaga e semplice invenzione, ed eseguito con tanta maestria, che diresti novella Aracne averlo condotto. Sopra vi si vedono due croci greche accompagnare egregiamente il ricamo.
Ma riguardo poi all’ uso del pallio nel secolo primo, nel quale visse Apollinare mi ha preso sospetto, che si fonda nell’ anacronismo: vizio deforme siccome già avvisammo nelle nostre Osservazioni sui nuovi Quadri del Duomo di Ravenna: ond’ è, che ci si fa debito qui indicarlo e per.essere coerenti a noi stessi, e per amore dell’ arte. Ora qui sotto, o carissimo riferiremo le varie opinioni di alcuni autori, e tu vedrai dalle medesime sorgere il nostro giusto dubitare.
Efraimo Chambers dice ned Dizionario universale delle arti, e scienze essere stato osservato non farsi menzione del pallio prima dell’anno 336. Se si potesse provare essere il pallio d istituzione apostolica potrebbe averlo vestito il nostro Arcivescovo.; ma i Canonisti Vanespen, Pietro de Marca, Lodovico Tomassino citati da Giuseppe Catalani (1)I estimano, che il pallio nella sua origine fosse ornamento regio, del quale gl’ Imperadori volessero poi adornare il sacerdozio facendone dono a’ Patriarchi. E che il pallio fosse tale ab antico 1’ osservò ancora quel lume dell’ italico sapere Gian-Vincenzo Gravina nel primo delle Istituzioni, ove cosi scrive (1)II = Il pallio, che in tanta sua oscurità di origine alcuni reputano essere stato collana, e ornamento imperatorio, ora fra le insegne sacre rapportato, è mantello agli omeri composto di candida lana di agnello discendente dal collo al petto, ed alla spalla per quattro fasciuole pendenti da ogni parte, ai cui estremi s’ intessono nere croci. = Ma il Catalani pretende allo incontro, che il pallio de’Patriarchi Alessandrini, che si transferiva dall’ uno nell’altro fosse il pallio di S. Marco, e non già dono di Costantino, o di altro Imperadore, come alcuni Autori sognarono, ma certamente apostolica istituzione. Cosi il Catalani: la quale sentenza non veggiamo confortata da lui di alcuna ragione, per cui ci si potrebbe permettere d’inchinare verso 1’ opinione de’ trascritti Canonisti. Nè di tale sovrana donazione ci mancano esempli: imperciocché c aperto, che Valentiniano terzo, fu cortese del pallio a quel Giovanni detto Angelopte.
Forse S. Apollinare, che in Antiochia ebbe i natali, avrà portato pallio. Ma il pallia di que’ tempi era una veste greca comune bea d’ altra forma, come si conosce da queste parole dell’erudito Leopoldo Cicognara, (1)III = Gli uomini portavano il pallio di una stoffa più solida della tunica, con i due angoli inferiori ottusi, e le persone di una condizione più elevata portavano un pallio più ricco: oggetto di un lusso principesco, ed effeminato era il portare il pallio con lungo strascico. Questa veste non aveva presso i Greci verun ornamento, fuorchè agli angoli alcune ghiande, che lo decoravano con molta semplicità. = Scrive pure Cicognara, (2)IV il Buonarroti affermare, che il pallio presente era in uso fino dal quarto secolo, comecché in forma più grande, ed essere stato ristretto per comodità.
Ma dal quarto secolo al primo corre una via troppo lunga, piena di fango, ed oscura: nè vale brama di verità a rinvenirvi cosa alcuna. Imperò noi lascieremo la disperata impresa, e simili gare pertinenti più a Gherici, che a’Secolari, non scorgendo da alcuna delle due parti, fra cui ci staremo sempre dubitando, chiara ragione, alla quale più che alle altrui parole ora suolsi attenere.
Da quanto abbiamo esposto è manifesto, che, se per avventura nell’ anacronismo in questo Busto avesse offeso il Signor Thordwalsen, (siccome io temo) non sarebbero da incolparsi Parte e il suo giudicio, ma bensì le disparità de’ pareri, e le tenebre, che si aggirano per le seguite età del ferro, dalle quali il cielo tanto ci tenga lontani, quanto vicini alle virtù risvegliatrici di opere magnanime ed onorate.
Il pallio del Signor Thordwalsen è lavoro degno di lui: tutti, e cittadini e stranieri che il viddero, hanno maravigliato: è gran verità e leggiadrìa nelle pieghe, particolarmente in quelle formanti la voltata, che cade in mezzo al petto ; sembrano soffici, e in nulla dipendere da quel corpo, nè l’avvicinarti è valido a dissuadertene: tanto può illudere l’arte a questi dì. Il medesimo appartamento si pregia pure di un Busto rappresentante il Signor Cardinale Arcivescovo Luigi Capponi condotto dal celebre Cav. Bernini vissuto nel secento, che è quanto dire nell’ età del delirio. Quivi è bello l’osservare da due secoli in qua i progressi dell’arte, i quali ti fanno dolere, che il destino non abbia donalo quell’alto ingegno all’ ottocento, in che l’amore del vero e del semplice ha già calcato il falso ed il tumido: impresa veramente generosa, ardita, ed utile, per la quale i nepoti ci ringrazieranno, e la nostra fama sarà durevole.
Pregiatissimo amico, eccoti descritta l’opera singolare del Danese, che merita di essere imitata e considerata dagli artisti. Mi ha mosso a tenertene discorso il conoscere quanto tu sii devoto e intelligente delle arti, ed un certo naturale desiderio, che nella solitudine della mia vita con diletto dell’ animo mi tragge a meditarle, ed a laudare quegli uomini, che sollevando la mente ed il cuore hanno saputo segregarsi dalla vulgare schiera, e venendo in voce di eccellenti rendersi meritissimi di onori e di premj. Perdona gl’ inesatti giudizj, amami, e se non ad altro, la descrizione di questa opera novella non meno stupenda delle altre molte, che nella mia cara patria si ritrovano, serva a maggiormente invogliarti di qui venire quanto prima. Addio.
Ravenna, 27 Aprile 1822.

General Comment

Dette er et brev skrevet af A. Cappi til C. Cardinali. Som det fremgår af dokumentet blev brevet skrevet 27.4.1822, Ravenna, og trykt i løbet af 1822, Bologna. De nærmere omstændigheder er indtil videre uklare.
I Arkivet findes et andet eksemplar af samme dokument, M876,3.

Archival Reference

M16,6 (Thorvaldsens Museums Småtryk-Samling 1822)

Subjects

Persons

Works

A186 Apollinaris, 1821, inv.nr. A186

Commentaries

  1. [Fodnote i teksten:]
    (1) Pontificale Romano Tit. 14. de Pallio.

  2. [Fodnote i teksten:]
    1) Titulus XI. Pallium quod etc.

  3. [Fodnote i teksten:]
    (1) Storia della Scultura Cap. 5. pag. 79.

  4. [Fodnote i teksten:]
    (2) Idem Cap. 8. pag. 127.

Last updated 30.09.2018