Un album di Giuseppe Cades. Appunti di viaggio e disegni

Disegno per uno standardo religioso
Guiseppe Cades: Disegno per uno standardo religioso, D642

Nel Museo Thorvaldsen di Copenaghen è conservato un taccuino di appunti di viaggio e schizzi dell’artista romano Giuseppe Cades, pittore di storia, decoratore e incisore molto noto nella capitale negli ultimi decenni del Settecento. Se il Cades, tuttavia, fu stimato e spesso lodato dai contemporanei, i critici e gli storici del secolo successivo ridimensionarono la portata della sua opera, considerandolo generalmente uno spirito eclettico, privo di autentica originalità, e tutt’al più un virtuoso imitatore dei maestri del Rinascimento.1I Si avverte oggi la necessità di una ricostituzione storico-critica della personalità e dell’opera di questo artista, che si chiarificano alla luce della cultura del suo tempo e si sviluppano nel momento in cui la presenza straniera a Roma mutava il volto della capitale dello Stato Pontificio in quello più vario e animato di Accademia d’Europa e di mercato antiquario di livello internazionale. Questa ricostituzione, che necessariamente porterà a stabilire il catalogo completo dei dipinti, dei disegni e delle incisiono del Cades, trova nello studio dellalbum di Copenaghen un elemento di notevole importanza.2
Il taccuino si trova menzionato nel Supplemento manoscritto, datato 1851, al catalogo del Museo Thorvaldsen pubblicato nel 1849 da L.Müller; in questa ultima opera sono registrati solamente alcuni fogli isolati del Cades3 mentre non vi è menzione alcuna dell’album, che deve quindi necessariamente essere appartenuto alla collezione di disegni del Thorvaldsen.
Questi ne entrò probabilmente in possesso nel corso della sua lunga permanenza romana, iniziata dopo il 1797. Tenendo conto che il Cades morì l’8 dicembre 1799, non è impossibile supporre un incontro fra i due artisti ed un eventuale dono del Cades allo scultore, di cui, tuttavia, non rimane testimonianza alcuna. Sembra quindi più probabile l’ipotesi di un acquisto del taccuino da parte dell artista danese dopo la morte del pittore; il carattere personale degli appunti e la diretta finalità pratica dei disegni contenuti nell album fanno infatti pensare che esso sia rimasto di proprietà del Cades fino all ultimo. D’altra parte, numerosi documenti conservati nell’Archivio dell’Accademia di San Luca4 testimoniano della dispersione delle opere rimaste in possesso della vedova del Parti ila che quest’ultima vendette a Roma, all’inizio dell Ottocento, per procurarsi un po’ di denaro.
L’album è costituito da cinquanta fogli di carta olandese, con filigrana I.Honing/e Zoonen, e reca le tracce di alcune pagine strappate.5 La rilegatura esterna è in vitello bruno, picchiettato di nero (veau marbré) mentre rinterralo è foderato da una carta picchiettata di rosso.6 Le prime pagine dell album7 sono interamente occupate da una serie di appunti redatti sommariamente dall artista nel corso di un viaggio in Italia settentrionale, dedicato allo studio dell’arte figurativa e dell’architettura emiliana e veneta. Gli appunti pervenutici riguardano esclusivamente le città di (lento, Ferrara e Venezia, ma è lecito immaginare che l’artista si sia fermato in diverse altre città di quelle regioni e da alcune allusioni del testo risulta chiaro che il Cades era reduce da un soggiorno a Firenze e a Bologna. Nessuno dei fogli dell’album reca la traccia di una data; i disegni, tuttavia, delle pagine successive del taccuino, raffiguranti un certo numero di copie dalle statue di scuola bernmiana che coronano il colonnato di piazza San Pietro in Roma, preparatori per una raccolta di incisioni di Pietro Bombelli datata fra il 1786 e il 1788, permettono di stabilire al novembre del 1786 precisamente il terminus ante quem dell album e quindi anche del viaggio dell’artista.8 Tenendo inoltre conto del fatto che il Cades era senz’altro a Roma nel gennaio del medesimo anno, data alla quale In accolta la sua candidatura ad Accademico di San Luca, proposta da Anton von Maron e seguita, nel mese di febbraio, dalla presa di possesso di Accademico di merito e che da allora, come ha rilevato A.M. Clark9 egli risulta presente a tutte le riunioni mensili dei membri dell’Accademia (e dato anche che è da escludere che un simile viaggio, in quei tempi, sia durato meno di trenta giorni) è necessario lare risalire lo spostamento dell’artista all’anno precedente, probabilmente ai mesi estivi del 1785. Il Clark10 avanzava l’ipotesi di una datazione al 1788-89 del viaggio dell artista, avendone rilevata Fassenza alle riunioni dell’Accademia in quei due anni. Tale assenza è piuttosto da imputare, a mio parere, ai lavori eseguiti dal Cades nel Palazzo Chigi di Ariccia, durati più di un anno (già iniziati nel luglio del 1788, essi vengono pagati, dopo la loro definitiva conclusione, nel 1790).11 Le incisioni datate 1786 dai disegni dell artista contenuti nel taccuino costituiscono d’altra parte un elemento inconfutabile, convalidato inoltre da una considerazione di ordine stilistico: i due capolavori del Cades, cioè, realizzati a Roma e ad Ariccia fra il 1787 e il 1790, vale a dire il Riconoscimento di Gualtiero d’Anversa dipinto per uno dei solfitti del primo piano della Villa Borghese di Porta Pinciana12 e la prima camera dell Orlando Furioso decorata a tempera nell’appartamento neoclassico di Palazzo Chigi13 appaiono necessariamente posteriori alla rivelazione essenziale ricevuta dal Cades nel corso del suo viaggio, attraverso la diretta lettura della pittura veneta del Cinquecento ed in particolare degli affreschi di Paolo Veronese.
La prima pagina dell’album, come si è detto precedentemente, è stata strappata e il testo inizia nel bel mezzo della descrizione entusiastica di un quadro visto dall artista in Cento, la cui composizione comprende un San Giuseppe e il cui stile richiama contemporaneamente i modi del Guercino, di Bartolomeo Schedone, del Correggio e dei Carracci.14 L’artista allude poi ad una Cena di Emmaus15 vista nel Refettorio del Convento dei Cappuccini, un dipinto »stupendo per la bella composizione e caratere e dignità e un bel gusto di colore e della forte e prima maniera« che il Cades, come del resto i suoi contemporanei, considera del Guercino ma che oggi è piuttosto ritenuto un opera di bottega, realizzata Ira il 1626 e il 1629 sotto la guida del Guercino con il suo diretto intervento in alcune parti della figura di Cristo e che si trova attualmente conservata nella Pinacoteca di Cento.16
Egli descrive quindi alcune opere conservate nella Chiesa del Santissimo Rosario: due composizioni con San Girolamo, raffiguranti l una »una Madonna con il bambino e S. Girolamo de Guercino che e molto bello e la madona è molto ben panegia che è fuori del solito de veder chiare le piege e dicise di questo autore che per solito le oscurava il San Girolamo e bello ma non me piace come la madonna«; questo dipinto può essere identificato con quello prelevato dai Francesi nella chiesa del Rosario a Cento nel 1796 ed esposto al Louvre nel 1798, così descritto nel catalogo redatto a Parigi dal pittore J.P.Lebrun:17 »Saint Jéròme dans le désert à qui la Vierge et l’Enfant Jésus apparaissent, figures de grandeur naturelle. Le Saint est vu a demi agenouillé sur la droite du tableau, il était occupé à écrire, et se retournant sur la gauche a le regard élevé vers la Vierge, qui tient sur elle l’Enfant Jésus; celle-ci est assise sur des nuages et occupe la droite du tableau. Ce tableau est bien pensé, bien composé et d un dessin vrai et bien étudié. Les draperies out de l’ampleur et de la vérité. Il peut étre regardé cornine un des beaux ouvrages du Guerchin«. L altra opera raffigura »S. Girolamo e un santo frate vestito di nero che a una Madonna sopra«; il Cades la considera eseguita dal Gennari alla maniera del Guercino e la avvicina ad un’opera del maestro veduta a Bologna: »di quella forsa del quadro che e a Bologna di s.P…che prende l’abito de frate …«.18 II Cades dice infine di avere veduto »nella medesima chiesa un soffito di una madonna che è pieno de gusto …« alludendo all’_Assunta_ dipinta dal Guercino intorno al 1620 ed ancora oggi collocata nel luogo per il quale era stata realizzata.19 Il Cades descrive poi »il quadro del nome de Dio che è un christo in piede con la madonna che lo abracia che ha inciso Strange è veramente e presioso e ben composto e ben colorito e preciso in tute le sue parte e molto dilicato«, collocato oggi nella Pinacoteca Civica di Cento, proveniente, come indica anche il Cades, dall’Oratorio dei Fratelli della Compagnia del Santissimo Nome di Dio.20
Queste due ultime opere menzionate dal Cades, eseguite dal Guercino l’una probabilmente a Roma, nel 1622 circa e l’altra intorno al 1630, subito dopo il soggiorno romano, appartengono a quello che Denis Mahon definisce il »periodo di transizione« del Barbieri, risalente all incirca al terzo decennio del Seicento, in cui nell’arte del maestro centese si manifesta il distacco dalla esecuzione fluida e dal senso atmosferico di ascendenza carraccesca, veneziana e ferrarese, oltre che dalla modulazione correggesca della luce caratteristici della sua prima maniera. Un’opera quale l’Apparizione del Cristo Risorto alla Madonna annuncia di già la futura semplificazione idealizzata e classicista della composizione a vantaggio dei personaggi, che grandeggiano in primo piano, soli ed indiscussi interpreti dell’evento religioso.21
Non stupisce costatare quanto il Mahon ha rilevato circa l’intusiasmo suscitato da questa fondamentale opera del Guercino negli artisti e negli amatori italiani e stranieri di passaggio a Cento: Francesco Algarotti, il marchese di Tavistock, Mrs. Hester Lynch Piozzi, il La Lande, ai quali aggiungiamo oggi Giuseppe Cades, che conosceva l’incisione di Sir Robert Strange eseguita nel 1773 da una copia dal dipinto del Guercino da lui stesso disegnata nel 1764. È interessante notare che tutte le testimonianze rilevate dal Mahon, oltre a quella del Cades, sono posteriori al 1760 e risalgono quindi ad un periodo in cui la pittura religiosa emiliana del Seicento non era generalmente raccomandata dai teorici quale esempio da imitare. Si potrebbe evocare, a questo proposito, la garbata critica rivolta al Cades dall’anonimo autore delle Memorie per le Belle Arti,22 nella descrizione della grande tela raffigurante la Nascita della Vergine dipinta dal Cades nel 1785 per la chiesa di Santa Maria delle Vigne a Genova ed esposta a Roma, nella chiesa di San Ciarlo al Corso, prima di essere inviata in quella città: »Ci sembra – scrive Fautore delle Memorie – che il Sig. Cades abbia voluto seguire lo stile naturale in quest’opera, eh è dipinta con risoluzione e con spirito … Noi non vorremmo ricercare in quest’opera la maggiore eleganza del disegno che alcuni vi desideravano. Crediamo che Fautore abbia voluto, come si è detto, condurla nello stile di mera imitazione della natura, onde non v’ha luogo la ricerca dell’Ideale. Il Sig. Cades è pieno di ingegno e di merito, ed è uno di quei pochi cui la natura ha dato tutti i doni per giungere alla sublimità dello stile. E siamo certi che egli ce ne darà ottimo saggio, quando vorrà consultare non la sola natura, ma con essa le Greche statue che sono i modelli perfetti dell arte. Sembra che Orazio volesse favellare anche ai pittori quando disse vos exemplaria Greca «. O ancora il commento, di qualche anno posteriore23 alla pala dipinta dal Cades nel 1787 per i Minori Conventuali di Fabriano, raffigurante La Madonna, il Bambino e cinque Santi ed esposta nella Basilica dei S.S. Apostoli a Roma prima di essere inviate nel suo luogo di destinazione: »… Nell’alto vi è il Cielo aperto, 2 piccoli Angeli fiancheggiano Maria, che siede fralle nuvole col figlio in grembo. Il Bambino colco sopra le sue ginocchia si stende spingendo innanzi una mano con una corona di fiori. Nell attitudine del Bambino si ravvisa che il Sig. Cades con spiritosa imitazione ha voluto seguire il Correggio. Pero non è piaciuta universalmente la sua idea e molti avrebbero voluto che rappresentando Gesù nel Cielo, si fosse cercata la dignità, ed il decoro e non la grazia …«.
L’attenzione prestata al Guercino non solo dal Cades, ma da molti artisti italiani e stranieri suoi contemporanei24 mette in luce un particolare aspetto della pittura storico-religiosa sviluppatasi a Roma sul finire del secolo: pur non escludendo il ritorno all’antico e sfruttando temi e motivi d’ispirazione classica, essa ricorre per lo più a determinate soluzioni plastiche e ad un uso della luce direttamente ispirati alla pittura emiliana classicista del Seicento, in particolare al Reni e al Guercino, da cui derivano i volumi nettamente delineati nell’unità delle zone di colore, l’impressionante rilievo dei personaggi, collocati per lo più in primo piano, mentre il fondo si trova estremamente ridotto e concepito unicamente in funzione dei protagonisti. Ma prima di concludere riguardo al problema dell influsso dell arte del Guercino su quella di Giuseppe Cades, è bene proseguire la descrizione delle opere che a Cento, Ferrara e Venezia arrestarono l’attenzione del pittore romano.
Le righe seguenti trattano di una Maddalena »tuta ritocata e aducevano la scusa che era tropa scandolosa«. Pur non specificando il nome dell autore, il Cades la considera evidentemente un’opera di mano del maestro che può forse essere identificata con la Maria Maddalena penitente della chiesa centese di S.ta Maria Maddalena prelevata dai Francesi nel 1796 ed esposta al Louvre nel 1798. Nel catalogo sopra citato questo dipinto, attribuito al Guercino, è così descritto: »Cette Sainte est vue a demi-agenouillée, les bras ouverts et le regard tourné vers le Ciel. File est vetue d une drapene pourpre. Un petit Ange est dans le liaut. Ce tableau de la troisieme maniere du Guerchin peut ètre regardé cornine un de ses beaux ouvrages. La composition en est grande et belle, la tète de la Madeleine est d’un beau caractère, les bras et les mains sont remplies de gràces et d’un dessin vrai, enfm le ton en est riche et d’une belle paté … La gorge de la Madeleine a été recouverte et la draperie ralongée«.25 Il seno ricoperto e il drappeggio allungato potrebbero essere le ridipinture alle quali allude il Cades.
L artista parla quindi di un »quadro che rapresentava un paradiso che e diverso dal comune cioè è il più chiaro che io abia veduto ma non manca di sugo ansi none quella maniera chiara e rossina che lui a poseduto no ma ansi e diversa e molto sul gusto del parmigianino e nel colore pare Tiziano ma le tinte sono talmente diverse che se sto quadro non fosse in Cento non si direbbe del Guercino«. Si è tentati di identificare quest’opera con la perduta pala della chiesa centese dello Spirito Santo, raffigurante il Trionfo di tutti i Santi, eseguita dal Barbieri intorno al 161326 nella quale l’influsso di Ludovico Carracci appariva ancora dominante. Secondo il Cades essa sarebbe stata, nei colori, venezianeggiante, tizianesca precisamente: particolare, questo, non del tutto in contraddizione con il modo di colorire del primo Guercino.
Il Cades ricorda quindi, nel foglio seguente, una mattina trascorsa a Ferrara che non gli ha tuttavia fornito materia di studio ne rivelazioni entusiasmanti come Cento. Dice di aver trovato due dipinti del Guercino: »nel Duomo martino di San Lorenzo della maniera forte ma none gran cosa, un altro de una presentazione al tempio che a del merito ma non è eguale …«. Il Martirio di San Lorenzo eseguito dal Guercino fra il 1629 e il 1637 si trova tutt’ora conservato nella Cattedrale di Ferrara;27 quanto alla Presentazione al Tempio, non appare chiaro dal testo del Cades se egli l’abbia vista nel Duomo o in un altra chiesa della città. Ne’ le guide antiche, tuttavia, nè gli studi moderni indicano che un dipinto del Guercino raffigurante questo soggetto si sia mai trovato nella cattedrale. Una Purificazione della Vergine (soggetto, questo, facilmente confondibile con la Presentazione al Tempio) dipinta dal Guercino nel 1654 per i Padri Teatini di Ferrara, si trovava nel Settecento ed è tutt’ora conserv ata nella chiesa di Santa Maria della Pietà dei Ieatim. In questo dipinto, per usare 1 espressione del Mahon, il Guercino: »offre un esempio impressionantemente riuscito dell’applicazione dei canoni dell arte ‘classica’«28 e non è da escludere, a mio avviso, che il Cades nel suo diario abbia voluto alludere a quest ultima opera del maestro centese. L’artista si dice quindi deluso da quanto ha potuto vedere nelle altre chiese di Ferrara, ed in modo particolare dalle opere di Dosso Dossi: »Sono stato al Palazzo dei Duci di Ferrara che chredevo di veder molto in genere depitura ma nono’ trovo seno’ che delle piture del dossi che sono ben cative … o dio aveva ben ragione Vasari di parlarne come ne à parlato …«, sulle quali sembra condividere il severo giudizio dello storico aretino.29
La descrizione delle opere d’arte viste dall’artista è a questo punto brevemente interrotta da un commento di carattere politico che suona oggi come una eco distratta, e forse anche un po ingenua, dei grandi problemi dibattuti in quegli anni, quali, per esempio, la definizione del compito del sovrano e quella del suo potere politico. »… il resto del palazzo — scrive il Cades, alludendo sempre al Palazzo Ducale di Ferrara — … a un aria di abitazione da tiranno più che un padre de famiglia come deve essere un principe«.
Incominciavano a sorgere, in quei tempi, le prime discussioni sui rapporti fra despotismo illuminato ed autorità paterna ed il concetto sostenuto in Francia dal Bossuet ed in Inghilterra dal Filmer — che l’autorità regia, cioè, ha i suoi fondamenti in quella paterna — era stato vigorosamente messo in questione dal Montesquieu. Un’eco dell’idea del Bossuet permane tuttavia nel Settecento: nell’articolo »Despotisme« dell’Encyclopédie, il de Jaucourt scrive: »On peut avancer qu’un roi est maitre de la vie et des biens de ses sujets, parce que les aimant d’un amour paternel, il les conserve, et a soin de leurs fortunes, comme de ce qui lui est le plus proche«.30 E il Saint Lambert afferma, nell articolo »Législateur«: »Le peuple aime le Prince qui s’occupe de son bonheur; le prince aime des hommes qui lui confient leur destinée … La bienveillance fait de l’Etat une famille qui n’obéit qu’à 1 autorité paternale … Le plus grand éloge qu’on puisse faire d’un roi est celui qu’un historien danois fait de Canus le Bon: Il vécut avec ses peuples cornine un pere avec ses enfants«.31 Saranno poi il Rousseau, nel Discours sur l’Inégalité, il Locke e il Sidney a mettere definitivamente in questione l’analogia fra autorità sovrana e statale ed autorità paterna.32
Il Cades torna quindi, rapidamente, ad argomenti di carattere artistico e ricorda di aver visto due dipinti del Garofalo: »ò veduto due quadri di Benvenuto Garofalo e la ritrovazione della chroce con il miracolo del morto è bello e (...)bile de colore un altro e il martirio di S. Pietro Frate e Martire che è mediochre …« I due dipinti, che il Cades dovette vedere nella Chiesa di San Domenico a Ferrara, per la quale erano stati dipinti, si trovano oggi conservati nella Pinacoteca di quella città.33 Il Cades ricorda poi la decorazione del catino absidale del Duomo di Ferrara, individuandone giustamente la derivazione michelangiolesca: »ò trovato una cosa curiosa alla (certosa: quest’ultima parola è cancellata e sostituita dalla parola Domo) nella Catino dell’altar maggiore: il giudizio universale il medesimo di Micelg.o che è in Sistina ma tale è che tute le figure sono distese è di un certo …«. L’artista ha lasciato uno spazio bianco al posto del nome dell’autore della decorazione (tutt’ora esistente nella cattedrale di Ferrara) che fu, fra il 1577 e il 1584, Sebastiano Filippi detto il Bastianino. Il Cades dice poi di aver visto il »deposito« (la tomba?) dell’Ariosto e le carceri in cui fu rinchiuso Torquato Tasso »… che veramente fano pietà e era molto bono a voler bene a quei duchi che lo tratavano cosi restano nello spedale pubblico di S.Anna«. Nell’insieme Ferrara non gli lascia, in fin dei conti, un cattivo ricordo ed egli ammira le strade e le architetture della città: »… la cita che prende un aria de gran de sul gusto de Firenze ma e anche migliore poi per i colpi de vista per pitori di vedute come canaleto e come Ms. Deprè francese ve sono delle cose superbe del gotigo mescolato che fa molto bene in conchlusione il materiale della cita e il difori ameno e delisioso e nel buon stile e nelle done vie un bel sangue«. Il »Ms.Deprè francese« che il Cades menziona accanto al Canaletto, quasi a voler indicare due dei massimi esponenti del contemporaneo vedutismo europeo, è indubbiamente Louis-Jean Desprez (Auxerre, 1743 — Stoccolma, 1804), Prix de Rome nel 1766, borsista dell Accademia di Francia a Roma, a cui venne affidato dall’Abate di Saint-Non l’incarico di collaborare con un certo numero di vedute all opera incisa intitolata »Le Voyage pittoresque, ou description des Royaumes de Naples et de Sicile«. Le sue vedute d’Italia meridionale e di Sicilia, generalmente più fantastiche e monumentali che non pittoresche, mostrano bene la derivazione piranesiana della sua visione ed il precoce romanticismo della sua ispirazione artistica. Anche il Canova ammirò a Roma e ricordò in una sua lettera alcune opere di Louis-Jean Desprez: »c’erano disegni a aquarela di Mr Deprés — egli scrive al Fontaine — questi potete imrnaginarveli pieni di focco come vi è notto il fare di Depres …«.34
La successiva tappa del viaggio del Cades di cui ci rimane notizia è Venezia; essa è anche, indubbiamente, quella che lo ha più colpito, dettandogli numerose riflessioni e rivelandogli i grandi maestri del Cinquecento veneto che esercitarono un importante e durevole influsso sulla sua produzione dell’ultimo periodo.
La prima, profonda emozione, il Cades la riceve entrando nella città: »Venezia colpo veramente spetacoloso nel entrare che si fa per aqua se afacia al ochio una laguna grandissima dove e situata Venezia entrando nel Canai Grande si vede una quantità de picole faciate de case che sono li Palazzi della nobiltà e sono tuti generalmente di bon stile Schamozio Sansovino Paladio delli altri architetti seguaci di questo stile poi una infinità di semi gotigo un certo stile curioso che non lo veduto mai in nessun luogo carico de ornamenti e anche boni sente il gotigo ma non lo sente in soma e molto fantastico e senza riposo ma e pitoresco assai per pitori di vedute …«
La scoperta di un mondo completamente nuovo, di un’architettura stilisticamente varia, colorata e animata dai riflessi dell acqua sulla quale poggia, di quel mondo »dove si è formato Canaleto che comparisce tanto straordinario ma vedendo Venezia non e altro che una copia della natura del paese…« suggerisce al Cades l’idea della necessità, per gli artisti romani o stranieri, di un viaggio di formazione dedicato alla conoscenza dell’arte delle regioni d’Italia settentrionale che lo studio dell architettura due e trecentesca, della pittura veneta del Rinascimento e bolognese del Seicento renderebbe il »pendant« moderno, ma altrettanto indispensabile e prezioso del tradizionale viaggio a Napoli, in Italia meridionale ed in Sicilia dedicato alla conoscenza dell’architettura e della scultura antiche. Ed appare evidente che le opere dell’ultimo periodo dell’artista, che va dal 1787 al 1799, anno della sua morte, opere d’ispirazione principalmente religiosa, ma comprendenti ancora »storie« tratte dall’antichità greca e romana e »romanzi« ripresi alla letteratura trecentesca e rinascimentale, si orientano essenzialmente verso soluzioni neo-guercinesche — quali per esempio la Sacra Famiglia della chiesa romana di San Nicola da Tolentino35 e la seconda versione eseguitane dall artista per i Chigi (oggi nella collezione F.Di Castro, Roma)36 o allora, chiaramente, verso un neo-cinquecentismo veneto in cui la prospettiva colta dal basso, la luce diffusa, le tonalità dei colori, la stessa iconografia delle composizioni richiamano direttamente la pittura veronesiana.37 Più che neo-classico (ed alludiamo qui al neoclassicismo schiettamente romano degli anni ‘80) il Cades, dopo il suo viaggio in Italia settentrionale, si rivela neocinquecentista e sembra avviarsi su quella che Luigi Lanzi definisce la sua »miglior via« non tanto, come vorrebbe lo storico, grazie alla influenza del francese David quanto piuttosto per essere rimasto ancorato alle tradizioni di una pittura italiana di ascendenza veneta e bolognese, da cui scaturiscono tuttavia soluzioni del tutto originali, genuinamente settecentesche, in cui sono avvertibili l’esperienza di mezzo secolo riformatore ed il soffio rivoluzionario del nascente romanticismo.
A Venezia, oltre a godere dello spettacolo di Piazza San Marco che, secondo il Cades è »curiosissima e non ce niente che possa paragonarsi a questo spetacolo è un teatro più che altro e un ramaso di bono di cativo di gotigo di Greco gotigo di moderno insoma pare una botega di mercaro e in certi punti è curiosissima e sempre pitoresca ma stravagante e curiosa veramente da il caratere della Nazione ce sono mezi mati e un pitore che sia nato li non può fare a meno di non essere stravagante«, l’artista si dedica essenzialmente allo studio dei maestri del Cinquecento: »Pavolo Veronese, ... Tintoreto … Tiziano … che veramente se vede quello che ariva a fare la Pitura nel Rapresentar tuti li ogeti della Natura in stanza in piazza in soma in tuti quei luogi che suol star la Natura …« Tintoretto, pur destando la sua ammirazione, »è il trionfo del pennello dell’ardire del colorito e dell ogeti più dificili di rapresentare in pitura in soma à trionfato sopra atuti li altri per lo spirito la felicità di poter rapresentar tuto quello che a voluto e gocando con il penello io chredo che se possa chiamare il brio della pittura …« a volte lo delude: »ma ce un infinità de opere sue che sono chative e cattivissime …«. Ma Veronese riassume ai suoi occhi la perfezione dell’arte veneta del Rinascimento: »ma à mia sodisfazione e quello che me piace più e Pavollo Veronese — e un omo che (avuto?) lo spirito di tuti la Fantasia il Genio il pitoresco in soma e quello che e il più compito che io penso« e viene elevato, dal settecentista romano, al rango di Raffaello: »a me me pare che dopo le opere del Vaticano de Rafaello venga la cena de san giorgio fata da pavolo io trovo tuto bello quello di Pavolo ma questa in particolare opera di Pavolo chi non la veduta non po avere in idea«. Con queste parole, che alludono al Banchetto di Cana del Veronese un tempo collocato nel Refettorio di San Giorgio Maggiore ed ora al Louvre,38 si conclude il diario di viaggio di Giuseppe Cades.
È interessante notare come al di sotto delle ultime righe scritte dal Cades a Venezia, sul medesimo foglio no 7 del taccuino, è rapidamente schizzata a matita nera una composizione con la Vergine in gloria, sostenuta da due Angeli, che appare a due monaci inginocchiati; un’altra idea per la medesima composizione, più sintetica e recante una diversa disposizione dei personaggi, è tracciata dalla mano del Cades sul foglio precedente (no 6). Questi due schizzi dell’album di Copenaghen costituiscono le idee preliminari per la pala d’altare della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte a Roma, parrocchia dell’artista, raffigurante i beati Gaspare De Bono e Nicolo Saggio da Longobardo ai quali appare la Vergine. Un disegno preparatorio più finito, vicinissimo ormai alla versione dipinta, conservato nella collezione Janos Scholz, reca sul verso un’antica iscrizione: »Disegno di Giuseppe Cades eseguito nel quadro da esso fatto in S. Andrea delle Fratte sua parrocchia« ed è firmato e datato 1791.39 Appare quindi evidente che la genesi dell’importante pala romana del Cades, realizzata all’inizio di quello che possiamo definire il suo ultimo periodo, risale al viaggio in Emilia Romagna e nel Veneto ed è quindi collegata con l’illuminante esperienza della pittura di Ludovico Carracci e del Guercino appena vissuta dall’artista.
Il foglio seguente (no 8) reca la prima idea per una composizione con la Madonna in gloria che porge la Regola ad un Santo monaco inginocchiato (probabilmente il fondatore di un ordine religioso), idea che ritroviamo sviluppata e finita in un disegno conservato anch’esso nel Museo Thorvaldsen, catalogato da L. Müller come un progetto per uno stendardo religioso destinato a celebrare la beatificazione o la canonizzazione di un Santo.40 Il grande disegno a penna, impreziosito da un bordo dall’ornamentazione sovraccarica che ritroviamo frequentemente nei disegni neomanieristi del Cades, reca in alto la scritta »Salus Infirmorum« in un cartoccio ornato da festoni di frutta sorretti da due putti ed in basso, in un ovale, lo stemma di Papa Pio VI Braschi al centro di altri quattro ovali (due dei quali, sormontati del cappello cardinalizio, sono vuoti mentre gli altri, sormontati da corone, contengono il disegno appena accennato di due stemmi difficilmente individuabili).

Dopo un certo numero di fogli (nn. 9 a 16) recanti dei rapidi schizzi isolati, per lo più a matita nera, per i quali rinviamo al Catalogo in appendice, inizia l’interessante serie di copie dalle statue di Piazza San Pietro a Roma, che ci hanno consentito di datare il taccuino dell’artista.
Nei fogli 17 a 6341 si trovano gli studi a matita nera preparatori per le incisioni di Pietro Bombelli, eseguite a Roma fra il 1786 e il 1788 e riproducenti le statue di scuola berniniana che ornano il coronamento del colonnato di piazza San Pietro. Un esemplare rilegato (ma incompleto) del gruppo di stampe del Bombelli, dedicato a Pio VI, è conservato a Roma, nella Biblioteca Apostolica Vaticana.42 Nel suo recente studio sulla decorazione plastica di Piazza San Pietro, Andreas Haus43 pubblica il manifesto lanciato da Pietro Bombelli a Roma, il 18 Novembre del 178644 con il quale l’incisore annuncia l’imminente vendita, entro il mese di dicembre, delle prime quattro stampe della serie e 1 ulteriore prosecuzione della pubblicazione delle riproduzioni delle »centoquaranta statue in travertino di santi, e sante della chiesa latina, e greca, che d’ordine del sommo Pontefice Alessandro VII, e di altri suoi successori, sono state poste per ornamento sul meraviglioso colonnato della Basilica Vaticana …«. Nel manifesto, il Bombelli giustifica la sua iniziativa con delle motivazioni estetiche e didattiche, ricordando innanzitutto 1 interesse suscitato in maniera costante dalle statue in artisti ed intenditori del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Egli ricorda, in particolare, che Sebastiano Conca »la aveva tutte disegnate in un gran libro« e che Anton Raphael Mengs »nome immortale, che solo basta per rilevarne l’eccellenza … ne disegnò molte da sé stesso; e più, se non tutte, ne avrebbe disegnato, se la morte non lo avesse tolto alle belle arti…«. Il primo motivo che determina quindi la sua opera è la qualità delle sculture riprodotte; il secondo motivo è strettamente legato al metodo di studio più diffuso fra gli artisti, che potevano trovare nella serie una eccellente »varietà di azioni, di panneggiamenti, di fisonomie; disegnate con tanta maestria, e perfezione, e quasi tutte sullo stesso gusto, che possono dar materia di molto studio, e da trarne gran profitto …«. Il Bombelli sottolinea inoltre la continuità della sua iniziativa con le opere da egli stesso realizzate sin dagli inizi degli anni ottanta, volte sempre alla diffusione, per mezzo di stampe, di celebri statue romane di santi e sante. L’incisore precisa infine che la scelta dei due artisti che hanno preparato il lavoro, il Cades, cioè, ed il pittore di Sermoneta Antonio Cavallucci45 non è dovuta al caso ma all’accurata ricerca dei migliori disegnatori attivi a Roma in quel momento. Egli definisce il Cades e il Cavallucci: »… due pittori di merito e disegnatori de’ più celebri di questa città …« Aggiunge poi che molti dei disegni e dei rami erano già pronti (permettendo quindi di stabilire al 1786 il terminus ante quem dei disegni del Cades) e conclude il suo manifesto indicando i luoghi dove potranno trovarsi in vendita le stampe, e cioè il suo studio a Monte Cavallo (dietro il palazzo della Consulta), il negozio dei librai Bouchard e Gravier al Corso e quello del signor Giulio Rossi.
La tesi dello Haus contiene un esauriente approfondimento del problema storico ed iconografico delle statue. La scelta dei santi da effigiare è sensibilmente evoluta nel corso dei tre pontificati in cui fu eseguita la decorazione scultorea del colonnato (iniziata durante il Papato di Alessandro VII, 1655-1667) ed il risultato finale consiste, secondo lo Haus, in una assemblea universale dei santi della Chiesa cattolica comprendente martiri, Santi antichi della città di Roma, degli inizi del Cristianesimo orientale ed occidentale, Santi soldati, Eremiti, Fondatori di Ordini, Padri della Chiesa, Papi, Vescovi, Teologi, Vergini e Vedove (i santi più antichi essendo Giuseppe, Marco e Stefano e la più recente Rosa da Lima, morta nel 1617).
La partecipazione del Cades alla pubblicazione del Bombelli è rilevante: 57 delle 97 tavole della raccolta sono tratte da suoi disegni.46 I 35 disegni a matita nera dell’album appartenuto al Thorvaldsen costituiscono gli studi preparatori per più della metà dei modelli delle incisioni. Essi sono, pensiamo, le prime idee, rese dal Cades con un tratto sintetico, anche se non impreciso e sempre accurato nel particolare, colte direttamente dal modello. È certo, in ogni modo, che i veri e propri modelli per le incisioni (press’a poco delle stesse dimensioni delle stampe) costituiscono una fase ulteriore rispetto ai disegni di Copenaghen: sono infatti ricomparsi recentemente sul mercato antiquario parigino quattro di questi modelli: quello per San Malco, per San Francesco Borgia (in realtà San Norberto), per San Romualdo e per San Marcello Papa (la cui prima idea, tuttavia, non si trova nell’album studiato in questa sede). Eseguiti tutti a penna ed inchiostro, rialzati di lavis su una traccia a matita nera, essi offrono delle composizioni più compiute, con quella cura dei particolari che distingue la penna e il pennello dell’artista romano. La carta del disegno di San Marcello è contrassegnata dalla medesima filigrana I. Honing e Zoonen dei fogli dell’albumi di Copenaghen. Il passaggio da un primo schizzo a matita nera (o qualche volta a sanguigna) ad un disegno a penna e pennello costituisce il caratteristico modo di procedere del Cades disegnatore, come dimostrano numerose serie di disegni preparatori per dipinti o stampe.

Gli ultimi fogli dell’album non occupati da studi per le incisioni contengono un certo numero di disegni e di schizzi isolati, tratti da modelli dipinti o scolpiti, per i quali rinviamo al catalogo in appendice.47 Nel f.o 92 è riconoscibile una copia da uno dei due Ignudi michelangioleschi che fiancheggiano Elia sul Carro di Fuoco nella Separazione della Luce dalle Tenebre del soffitto della Cappella Sistina.
È bene sottolineare, concludendo, il carattere strettamente personale di questo taccuino di Giuseppe Cades tenuto dall’artista a portata di mano nel corso di un viaggio e durante la preparazione dei suoi lavori romani. Esso ci dà oggi un idea del suo stile di disegnatore ben diversa da quanto rivelano le grandi composizioni elaborate e finite alle quali il suo nome è principalmente rimasto legato. Esse costituiscono opere finite, valide per se’ stesse, destinate in gran parte dall’artista ad essere vendute o donate in quanto tali. Possiamo oggi dire che il Cades fu un disegnatore accurato, amante del particolare compiuto e di una tecnica relativamente carica che danno alla maggior parte delle sue opere grafiche una finitezza ed un’importanza di esecuzioni definitive. Da un esame dell’insieme dei suoi disegni, si direbbe inoltre che egli considerava essenziale portare a termine una creazione allo stadio grafico prima di tradurla in pittura o in incisione.
Il taccuino di Copenaghen rivela un fare diverso, più rapido ed incurante del dettaglio. Una mano sicura, ma sommaria ed essenziale, getta sulla carta una prima idea, copia e si esercita direttamente dai maestri prediletti, traccia e ripete un motivo da sviluppare ulteriormente, preferendo per lo più la matita alla penna e al pennello. Questo carattere immediato, intimo, dell’album – che ritroviamo negli appunti di viaggio, redatti spontaneamente e rapidamente, senza prestare attenzione allo stile o alla grafia — ne fa non solo un testimone prezioso per la conoscenza dell opera del Cades ma riflettendo la quotidiana applicazione dell’artista, i suoi entusiasmi e le sue riserve, il suo gusto ed i suoi sogni, ci avvicina oggi, di là dalle opere, all umanità del loro autore.


Catalogo dei Disegni

Le dimensioni di ciascun foglio dell’album sono, come si è indicato nella nota no 5 al testo, di cm. 22,8×18,8.

Sankt Cecilie
D1589,2
Schizzo di una pala d’altare. Matita nera.
In primo piano, una figura femminile, probabilmente una Religiosa, in atto di adorazione. In alto, nella zona centinaia della composizione, la Madonna in una gloria di Angeli, sostenuta da nubi.

Maria (?) viser sig for to munke
D1589,6
Due Monaci inginocchiati ai piedi della Vergine. Matita nera.
Prima idea per la pala d’altare della chiesa di Sant Andrea delle Fratte a Roma, parrocchia del Cades, raffigurante i Beati Gaspare De Bono e Nicolò Saggio da Longobardo ai quali appare la Vergine. Un disegno preparatorio più finito e vicinissimo alla composizione dipinta è conservato nella collezione Janos Scholz. Esso reca sul verso un’antica iscrizione: »Disegno di Giuseppe Cades eseguito nel quadro da esso fatto in S. Andrea delle Fratte sua parrocchia« ed è firmato e datato 1791. Questa prima idea sarà modificata con lo spostamento di uno dei due monaci sulla sinistra della composizione, mentre sarà mantenuto, nell’esecumme definitiva, l atto appena accennato della Madonna di aprire le braccia e di protenderle lateralmente in direzione degli oranti (cfr. M.T. Caracciolo, Per Giuseppe Cades in Arte Illustrata, VI, 1973, no 52, p. 4, 5, figg. 5 e 6.)

Maria båret af engle viser sig for to munke
D1589,7
Due Monaci inginocchiati ai piedi della Vergine, fiancheggiata da due Angeli. Matita nera.
Prima idea, ulteriormente sviluppata rispetto alla versione precedente, della pala d’altare della chiesa romana di Sant Andrea delle Fratte (cfr. f.o 6). La composizione subirà alcune modifiche nella raffigurazione della Madonna e nella disposizione degli angeli che circondano i protagonisti. L impostazione semplice e piramidale della composizione è tuttavia già stabilita e dimostra come l’esperienza della pittura religiosa emiliana, principalmente guercinesca, vissuta dal Cades durante il suo viaggio in Italia settentrionale, sia una delle componenti fondamentali dello stile del suo ultimo periodo.

Maria med barnet overrækker en bog til en helgen
D1589,8
La Vergine affida la Regola ad un Santo Monaco inginocchiato. Matita nera.
Grazie alla versione più finita, a penna e pennello, conservata aneli essa nel Museo Thorvaldsen (cat. L. Müller, no 159), ornata da un bordo ricco di motivi comprendente numerosi stemmi fra i quali si riconosce quello di Pio VI Braschi, il disegno dell’album si rivela un progetto per uno stendardo destinato a celebrare la Beatificazione o la Santificazione del religioso (probabilmente Fondatore di un Ordine) al quale la Vergine porge la Regola. Il Santo (o il Beato) inginocchiato ha ai suoi piedi un cervo accovacciato.

En himmelfartscene (?)
D1589,9
Foglio di studi. Matita nera.
A sinistra, studio per una pala comprendente una Santa monaca inginocchiata ed un altro personaggio ad un livello superiore rispetto alla sommità centinata.
Al centro, studio di un ventre e di una gamba sinistra; a destra, studio per l’estremità inferiore di una gamba e per una mano. In alto, iscrizione autografa deir artista, a matita nera: A Franc.de Capua ò dato à conto de lavoro del Pr. Chigi Zechini 2. Il Cades lavorò per il Principe Sigismondo Chigi in due riprese: a Roma, all’inizio degli anni ottanta e ad Ariccia fra il 1788 e il 1790.

Barn
D1589,10
Studio per un bambino nudo. Matita nera. Non riprodotto.

Kvindelig model
D1589,11
Studio di figura femminile nuda (da una statua antica?), vista di spalle. Matita nera.

Jupiter
D1589,12
Testa di Dio antico di tipo Giove Serapico, con l’emblema del sole e una corona ornata di punte (da una statua antica?). Matita nera.

Puttos hoved
D1589,13
Testa di putto. Matita nera. Non riprodotto.

Maria viser sig for en helgeninde
D1589,15
Santa Religiosa inginocchiata ai piedi della Vergine in gloria di angeli. Matita nera. Non riprodotto.
La composizione appare una seconda versione, appena accennata, del disegno del foglio no 2.

Siddende helgeninde
D1589,16
Dama seduta, raffigurata dalla vita in su, appoggiata sul gomito destro. A sinistra, ripresa di una parte del viso. Matita nera.

Sankt Catharina
D1589,17
Santa Caterina Vergine e Martire. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no XLIIII). (Il numero con il quale sono contrassegnate le incisioni è quello che figura sulla corrispondente tavola della Raccolta di Pietro Bombelli descritta nel testo (pag. 19) e nella nota 42 al testo.)
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro a Roma. Nel disegno la Santa reca l’attributo simbolico della ruota e la corona sul capo, ma la mano destra protesa in avanti non regge, conte nell incisione, il papiro arrotolato.

Sankt Agnes
D1589,19
Santa Agnese Vergine e Martire. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no XLIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro a Roma. La Santa reca nel disegno e nell’incisione l’attributo dell’agnello accovacciato ai suoi piedi e la palma del martirio.

Engel
D1589,20
Schizzo di una minuscola figura femminile alata, seduta, con il braccio destro proteso verso destra. Matita nera. Non riprodotto.

Sankt Pontian
D1589,21
San Pontiano Martire. Matita nera.
Incisione data 1788 (no XLI)
Copia da una Statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro.
Il santo reca la palma del martirio.

Sankt Mamant
D1589,23
San Mainante Martire. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXXIX).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Fra il disegno e l’incisione si nota una leggera variante del gesto della mano sinistra protesa in avanti.

Sankt Colomba
D1589,25
Santa Colomba. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XL).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro a Roma. La Santa regge la palma del martirio.

Kvindeportræt, halvfigur
D1589,27
Ritratto di dama di profilo a sinistra. Matita nera (mina di piombo).
La dama è raffigurata a mezza figura; il volto sorridente è coronato da una parrucca ornata da nastri e da fiori. La finezza di esecuzione, ed il risultato sorprendentemente fresco del rapido ritratto, colto, probabilmente, dal vivo, evocano con una notevole anticipazione il filone della ritrattistica ottocentesca che in Francia fa capo a Ingres e in Italia conta fra i suoi interpreti l’Appiani, il Landi e il Camuccini.

Sankt Balbina
D1589,29
Santa Balbina. Matita nera.
Incisione datata al 1787 (no XIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Fra il disegno e l’incisione vi è una leggera variante nel Fatto della mano destra, che nella prima idea regge, come la sinistra, il panneggio del manto.

Sankt Vitalis
D1589,31
San Vitale Martire. Matita nera.
Incisione datata al 1786 (no IV).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo regge la palma del martirio.

Sankt Thecla
D1589,33
Santa Tecla Vergine e Martire. Matita nera.
Incisione data al 1786 (no V).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La Santa regge la palma del martirio.

Sankt Agathe
D1589,35
Santa Agata Vergine e Martire. Matita nera.
Incisione datata 1^86 (no VIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La Santa regge il piatto recante i due seni, simbolo del suo martirio. Nella incisione regge anche, nella mano destra, la palma del martirio. Il Cades aveva già raffigurato Santa Agata accanto a Santa Lucia in una pala d’altare datata 1781 e conservata oggi nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno.

Sankt Clara af Assisi
D1589,37
Santa Chiara Vergine. Matita nera.
Incisione datata 178(? ) (no X).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La Santa regge la lanterna, simbolo della protezione accordata ai ciechi.

Sankt Appolina
D1589,39
Santa Apollonia Vergine e Martire. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XIIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La mano destra levata in alto, ma vuota nel disegno, regge, nella versione definitiva incisa, la tenaglia con il dente strappato, simbolo del martirio della Santa. La palma del martirio, tenuta con la mano sinistra, è appena accennata nel disegno.

Sankt Benedict
D1589,41
San Benedetto. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XVII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Nel vigoroso disegno preparatorio il Santo regge il libro della Regola con la mano destra, mentre la sinistra è semplicemente levata in alto, con il pugno chiuso: quest’ultimo stringe, nella versione definitiva incisa, la coppa con il serpente.

Sankt Bernard
D1589,43
San Bernardo. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XVIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo non regge attributi; ai suoi piedi, appena accennato nel disegno, il cappello vescovile. Il disegno è annotato, a matita nera, in basso, a destra: Ne manchano 2 S. Orsola S. Petronilla. La Sant’ Orsola mancante alla quale accenna il Cades fu disegnata ed incisa da Pietro Bombelli nel 1787 (no IX della serie); il Cades stesso dovette invece disegnare poco dopo la Santa Petronilla, incisa dal Bombelli nel 1786 (no III della serie); il disegno tuttavia non si trova nell’album di Copenaghen.

Sankt Frans af Assisi
D1589,45
San Francesco d’Assisi. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XIX).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo reca la croce; nell’incistione si distingue nettamente il rosario appeso alla cintola, appena accennato nel disegno.

Sankt Domenicus
D1589,47
San Domenico. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XX).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S.Pietro. Il Santo reca un ramo di gigli nella mano sinistra. La figura, eretta e severa nel disegno del Cades, ha un portamento più flessuoso, accentuato dall avanzare e dal piegarsi della gamba sinistra nell incisione del Bombelli.

Sankt Markus
D1589,49
San Marco Evangelista. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXV).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo regge la tavola del Vangelo e lo strumento, appena accennato nel disegno, per scrivere. Ai suoi piedi è accovacciato il leone. Il Cades dipinse il medesimo Evangelista, ma seduto ed in un atteggiamento di derivazione michelangiolesca, in uno dei pennacchi della cupola del Duomo di Urbino (tela incassata).

Sankt Febronia
D1589,51
Santa Febronia Vergine e Martire. Matita nera.
Incisione non datata (no XXVI).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La Santa regge una tenaglia.

Sankt Fabiola
D1589,53
Santa Fabiola Vedova. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXVII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La Santa, avvolta in un ampio mantello, non reca attributi.

Sankt Nilamon
D1589,55
San Nilamone. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXVIII).
Copia da una Statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, cinto da un ricco panneggio che lascia tuttavia nudo il busto e il braccio destro, non reca attributi e declina il capo dagli occhi socchiusi, verso sinistra. Un ulteriore disegno preparatorio per l’incisione, anch’esso a matita nera, è conservato nel Museo Nazionale d’Arte Antica di Lisbona (Inv.2137; cm 36 xm 21).

Sankt Marinus
D1589,57
San Marino Martire. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXXI)
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, in vesti militari, cinto da un manto fissato sulla spalla sinistra, reca nella mano destra la palma del martirio. Ai suoi piedi è accucciato un orso, di cui si può scorgere soltanto il muso. (Si tratta probabilmente di uno dei due orsi che portavano il miele a S. Marino di Maurienne, martire del secolo VII0).

Sankt Didymus
D1589,59
San Didimo Martire. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXXII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo veste abiti militari ed è avvolto in un mantello fissato sulla spalla sinistra. Nella mano sinistra reca la palma del martirio.

Sankt Barbara
D1589,61
Santa Barbara. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXXVI).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. La Santa, avvolta in un drappeggio che lascia nudi la spalla destra e il braccio sinistro, reca nella mano sinistra la fiamma ed ha ai suoi piedi la torre. Un disegno preparatorio per una Santa Barbara inginocchiata è conservato a Lisbona (Museo Nazionale d Arte Antica, Inv.2195).

Sankt Benigno
D1589,63
San Benigno Martire. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXXVII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, con le braccia incrociate sul ventre, non reca attributi. Anche in questo disegno si può rilevare un portamento più eretto ed una maggiore semplicità del panneggio rispetto a quelli del personaggio inciso. Il Cades aveva dedicato al martirio di San Benigno una delle sue prime pale d’altare, commissionata dal Cardinale Vittorio Amedeo delle Lanze per la Chiesa Abbaziale di San Benigno di Fruttuaria nel Canavese, presso Torino (dove ancor oggi si trova, nella Sacrestia, e non più sull’altare della crociera).

To tritoner tøjler fire havheste
D1589,64
Tritoni e cavalli marini. Matita nera.
Copia da un affresco di Pellegrino Tibaldi. raffigurante La Tempesta (parte sinistra), appartenente alla serie delle Storie di Ulisse in Palazzo Poggi a Bologna. Cfr. G. Briganti, Il Manierismo e Pellegrino Tibaldi, Roma, 1945, fig. 115.
L indentificazione della copie realizzate dal Cades dagli affreschi tibaldeschi di Palazzo Poggi è dovuta a Bjarne Jørnæs, conservatore del Museo Thorvaldsen, che ringrazio vivamente per la sua cortese ed efficace collaborazione.
L’interesse dimostrato dal Cades per la maniera pittorica e grafica del Tibaldi, interesse riflesso da numerose sue composizioni, contribuisce in modo rilevante ad iscriverlo nella corrente neo-manierista della pittura romana della fine del settecento, fondata dal Füssli intorno alla metà del secolo, e il cui più originale interprete sarà, anni più tardi, il faentino Felice Giani.

Sankt Gaetano
D1589,65
San Gaetano. Matita nera.
Incisione datata 1789 (no CXXII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S.Pietro. Il Santo reca nella mano destra una penna d’oca e sostiene con la sinistra un libro ed un giglio.

Siddende ignudo
D1589,66
Figura maschile seduta sul coronamento di un’architettura, reggente nella mano sinistra un lembo di panneggio. Matita nera, penna e inchiostro grigio.
Copia da un elemento della decorazione architettonico-figurativa delle sale affrescate da Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. Cfr. G. Briganti, op. cit., fig. 120.

Siddende yngling i romersk soldaterdragt
D1589,67
Giovane soldato seduto, di profilo a sinistra, raffigurato mentre sembra indicare col gesto della mano destra, un oggetto o un luogo sottostante. Matita nera.
Il giovane è seduto su un piano inclinato da destra a sinistra, forse un lato del coronamento piramidale di un architettura o di un monumento (cfr.anche f.o 69).

Siddende ignudo
D1589,68
Figura maschile nuda, di profilo a sinistra, seduta con le gambe incrociate, con il braccio destro ripiegato sul capo. Matita nera, penna e inchiostro grigio.
Copia da una figura affrescata da Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna, quale coronamento di un architettura dipinta. Cfr.f.o 66 e G.Briganti, op. cit., fig. 119.

Siddende yngling i romersk soldaterdragt
D1589,69
Giovane soldato seduto, di profilo a destra, appoggiato sul braccio destro, con le mani incrociate. Matita nera.
Il giovane è seduto su un piano inclinato da sinistra a destra e costituisce forse il secondo elemento (insieme con il disegno del foglio 67) del coronamento piramidale di un’architettura o di un monumento.

Siddende ignudo
D1589,70
Figura maschile nuda, vista di fronte, con la gamba sinistra flessa ed il braccio destro ripiegato al di sopra della testa. Matita nera, penna e inchiostro grigio.
Copia da un affresco di Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. Cfr. f.o 66, 68 e G.Briganti, op. cit., fig. 118.

Sankt Francisco Xavier
D1589,71
San Francesco Saverio. Matita nera.
Incisione datata 1789 (no CXXI).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, che veste abiti ecclesiastici, regge con la mano sinistra un giglio.

Yngling og tre-hoved drage
D1589,72
Foglio di studi. Matita nera.
Copia da un affresco di Pellegrino Tibaldi appartenente alla serie delle Storie di Ulisse in Palazzo Poggi a Bologna. Cfr.f.o 64 e G.Briganti, op. cit. fig. 114.
Dall’episodio di Circe ed Ulisse, il Cades riprende la figura di Ulisse nell atto di sguainare la spada, e il mostro tricipite in basso a sinistra della composizione.

Mandlig figur siddende på en trone
D1589,73
Personaggio nudo, adagiato su di un trono riccamente ornato da figure femminili alate, a mezzo busto, e da un putto alato, e sostenuto nella parte inferiore da un telamone che regge col braccio destro una testa di delfino. Matita nera.
Copia della parte destra dell’affresco raffigurante la Tempesta, realizzato da Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna e appartenente alla serie delle Storie d’Ulisse. Cfr.f.o 64 e G.Briganti, op. cit. fig. 115.

Ignudo siddende på entablatur
D1589,75
Figura nuda, riversa all indietro, sullo sfondo di un movimentato panneggio, seduta su una trabeazione sostenuta da colonne – cinque appena accennate nel disegno. Matita nera, penna e inchiostro bruno.
Copia da una figura affrescata da Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. Cfr. f.o 66, 68, 70 e G. Briganti, op. cit. fig. 121.

Sankt Malco
D1589,77
San Malco. Matita nera.
Incisione datata 1787 (no XXXVIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, avvolto in un ampio mantello frangiato, ha il capo protetto da un berretto appuntito. Nell’incisione, calza stivali anch’essi a punta. Egli appoggia il mento sulla mano sinistra, con aria assorta, e non reca attributi. Il modello per l’incisione, a penna e pennello, (cm. 34×22), recentemente riapparso sul mercato antiquario parigino, si trova conservato a Parigi in una collezione privata.

Sankt Genesio
D1589,79
San Genesio Martire. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no XIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S.Pietro. Il Santo veste abiti militari e nell incisione porta dei complicati calzari ornati da maschere. Con la mano destra levata reca un foglio di carta arrotolato e con la sinistra si appoggia ad una imponente balestra che nell’incisione è anch’essa ornata da maschere.

Sankt Frans Borgia
D1589,81
San Francesco Borgia (in realtà San Norberto). Matita nera.
Incisione datata 1788 (no CXL)
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, in abiti ecclesiastici, regge con la mano destra l’Ostensorio. Il problema dell’iconografia del Santo, indicato dal Cades e dal Bombelli come San Francesco Borgia, è stato studiato da Andreas Haus (op. cit., 1970); lo studioso rileva che l’iconografia di San Francesco Borgia include una corona fra gli attributi del personaggio. Tale corona è visibile, in effetti, sulla cinquan- taquattresima statua del colonnato; Patteggiamento e gli attributi delle statue di San Norberto e San Francesco Borgia sono, a parte ciò, strettamente analoghi. I personaggi sono tuttavia raffigurati in senso opposto (l’autentico San Francesco Borgia è visto di profilo a destra). Gli altri errori iconografici della serie riguardano san Spiridione (n. 101) e Sant’Alessandro (n. 103), disegnati entrambi dal Cades ma assenti dall’album di Copenaghen. Il modello per l’incisione dello pseudo San Francesco Borgia a penna e pennello è recentemente ricomparso sul mercato antiquario parigino ed è conservato a Parigi, in una collezione privata.

Sankt Thebaldo
D1589,83
San Teobaldo. Matita nera.
Incisione non datata (no CXXXIX).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo drappeggiato in un manto che lascia nudo il torso e il braccio sinistro non reca attributi.

Sankt Theodore
D1589,85
San Teodoro Martire. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no CXXXVIII)
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, che veste abiti militari, ed indossa ai piedi un paio di calzari (nell’incisione pesantemente ornati) reca nella mano destra la palma del martirio.

Sankt Giovanni de Matha
D1589,87
San Giovanni de Matha. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no CXXXIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, che veste abiti monacali, reca la catena quale attributo simbolico.

Sankt Romualdo
D1589,89
San Romualdo. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no CXXXII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, in abiti monacali, reca nella mano sinistra il pastorale e nella destra la Casa da lui fondata. Il modello per l’incisione, a penna e pennello, recentemente ricomparso sul mercato antiquario parigino, è conservato a Parigi, in una collezione privata.

Sankt Josef
D1589,91
San Giuseppe. Matita nera.
Incisione datata 1788 (no CXXXI).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. 11 Santo, scalzo, reca il simbolico bastone ornato da fiori.

Siddende ignudo
D1589,92
Copia da Michelangelo. Matita nera.
Copia da uno dei due Ignudi fiancheggianti la raffigurazione di Elia sul carro di fuoco nella Separazione della Luce dalle Tenebre del soffitto della Cappella Sistina. La fortuna di Michelangelo presso gli artisti protoromantici, neomanieristi e neobarocchi, della fine del secolo è ben nota. Lo studio di Michelangelo occupò in particolare molte ore romane del Füssli, del Sergel o dell’Abildgaard. Sempre nel Museo Thorvaldsen (su un foglio isolato) è conservata un’altra copia del Cades da un gruppo di beati del Giudizio Universale (Cat. L. Müller, no 160).

Sankt Antonius
D1589,93
Sant’Antonio Abate. Matita nera.
Incisione datata 1789 (no CXXVIII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S. Pietro. Il Santo, in abito monacale, reca nella mano destra un libro aperto e si appoggia con la sinistra ad un bastone al quale è legata una campanella.

Svævende engel
D1589,94
Studio per un Angelo visto di spalle, librantesi in volo. Matita nera.
L’Angelo rapidamente schizzato richiama le prime idee per le figure alate, i geni o i putti che popolano la pittura religiosa e storica dell’artista.

Sankt Frans af Paola
D1589,95
San Francesco di Paola. Matita nera.
Incisione datata 1789 (no CXXVII).
Copia da una statua del coronamento del colonnato di Piazza S.Pietro. Il Santo, in abiti monacali, col capo ricoperto dal cappuccio, non reca simboli e protende in avanti la mano sinistra.

Svikkel med to engle der bærer et kors
D1589,96
Studio per la decorazione di una superficie triangolare (forse il pennacchio di una cupola). Matita nera.
Due Angeli, o forse due figure femminili alate, di profilo l’una a destra, l’altra a sinistra, reggono una croce.

Figur
D1589,98
Schizzo per una figura di profilo a destra, forse resa nell’atto di inginocchiarsi, in cui solo il viso è disegnato con una certa precisione. Matita nera.

References

1. Le fonti romane che ricordano con maggiore frequenza il nome di Giuseppe Cades, descrivendone e per lo più lodandone le opere, sono le Memorie per le Belle Arti (per gli anni 1785, 1786, 1787) ed il Giornale delle Belle Arti (1784, 1787). Numerosi riferimenti si trovano inoltre in documenti contemporanei, conservati all’Accademia di San Luca o ancora nella corrispondenza dell’architetto Charles Tatham (Londra, Archivio Tatham, Lettere di C. Tatham all’architetto Henry Holland, giugno-ottobre 1795), nel diario di Vincenzo Pacetti (Roma, Biblioteca Alessandrina, Ms. 321), nella corrispondenza di Onorato Caetani (Roma, Archivio Caetani), nel diario di Antonio Canova (I Quaderni di viaggio di Antonio Canova, a cura di Elena Bassi, Venezia-Roma, 1959). L’immagine di Giuseppe Cades resa da tali fonti contemporanee è ben diversa da quella datane dagli storici dell’Ottocento: S.Ticozzi, Dizionario …, Milano, 1830; F.De Boni, Biografie …, Venezia, 1840; F. Alizeri, Notizie dei Professori del Disegno in Liguria, Genova, 1864; M. Ch. Le Blanc, Manuel de l’Amateur d’Estampes, Paris, 1856; Bryan’s Dictionary of Painters and Engravers, I, London 1904.

2. Sono quindi particolarmente grata a Dyveke Helsted, Direttrice del Museo Thorvaldsen, di avermi consentito di studiare l’album e di curarne la pubblicazione nel Bollettino del Museo. Vorrei ricordare, all’inizio di questo articolo, la memoria di Anthony M. Clark, che per primo mi parlò del taccuino (da lui del resto menzionato nella voce Cades G. del Dizionario Biografico degli Italiani, XVI, 1973, p.75) e che con il suo fondamentale studio »An Introduction to the Drawings of Giuseppe Cades« – (Master Drawings, II, 1964, pp. 18-26) e con le sue ulteriori ricerche e scoperte, ha posto le basi dello studio moderno dell’opera di Giuseppe Cades.

3. L. Müller, Description des tableaux et dessins du Musée Thorvaldsen, Copenhague, 1849, nn. 151-160; id. »Müllers Blaa Protokol. Magazin.«, p. 9 H: »En Tegnebog med Studier og Skizzer, af Joh. Cades(?)« (1851).

4. Roma, Archivio dell’Accademia di San Luca, vol. 72, no 96; Libro dei Decreti delle Congregationi…, no 55, 1793-1803; cfr. A.M. Clark, op. cit. (1973), p.77.

5. La prima pagina. Un foglio fra la pag. 2 e la 3, fra la pag. 14 e la 15, fra la pag. 16 e la 17; fra la
pag. 22 e la 23, fra la pag. 24 e la 25. Ciascun foglio misura cm. 22,8 X 18,8.

6. Le dimensioni della rilegatura sono di cm. 23,5×23,2.

7. Fogli 1, 3, 4, 5, 7.

8. Della raccolta di incisioni di Pietro Bombelli da disegni di Giuseppe Cades e di Antonio Cavallucci avremo agio di parlare in seguito, trattando dei disegni preparatori contenuti nel taccuino. Il Manifesto lanciato dal Bombelli a Roma, nel quale l’incisore annuncia la prossima pubblicazione delle stampe »essendo già in pronto molti disegni, ed incisi dei rami« è datato al 18 Novembre 1786.

9. A.M. Clark, op. cit. (1973), p.74.
10. A.M. Clark, op. cit. (1973), p.75.

11. Cfr. M. Di Macco, Italia Nova, Graecia Vetus, in Annuario dell’istituto di Storia dell’Arte, 1973-1974, pp. 353 e 365.

12. P. Della Pergola, Villa Borghese, Berna, 1962, p. 90, ripr. tav. 209 e 210.

13. Le tempere si troveranno riprodotte nel mio articolo »L’ispirazione letteraria di Giuseppe Cades« (in corso di pubblicazione). L’articolo sopra citato di M. Di Macco tratta dei lavori fatti realizzare da Sigismondo Chigi a Roma e ad Ariccia, pubblicando i documenti dell’Archivio Chigi (senza illustrare, tuttavia, le decorazioni dipinte).

14. Foglio 1: »… e un S.Giuseppe che e quel che si può … vedere in genere de gusto in questo quadro ce Guercino ce schidone ce Goregio e poi ce quel che posedevano li caraci di loro natura un quadro di sapore come è questo non lo veduto mai ne anche in Bologia (Bologna) di questo Autore …«

15. »Christo che cena con li due pelegrini«.

16. Cfr. D. Mahon, Il Guercino, Catalogo della Mostra, Dipinti, Bologna, 1968, p. 10.

17. »Examen historique et critique des tableaux exposes provisoirement venant des premier et second envois de Milan, Cremone, Parme, Plaisance, Modène, Cento et Bologne, auquel on a joint le détail de tous les Monuments des Arts qui sont arrives d’Italie par J.B.P. Lebrun, peintre Commissaire expert du Musée central des Arts«, Paris, an VI de la République, no 82 (p. 43). Il dipinto passò dal Louvre alla chiesa parigina dell’Assomption (nel 1811) e più tardi (nel 1880) nella chiesa di Saint Thomas d’Aquin (chapelle des Catéchismes). Cfr. M.L. Blumer, _Catalogue des peintures transportées d’Italie en France de 1796 à 1814, in Bulletin de la Société de l’Histoire de l’Art Français, 1936 (n. 2), n.56 p. 258.

18. Il nome del Santo raffigurato durante la vestizione non è chiaro nel testo del Cades. Non sembra azzardato, tuttavia, supporre che l’artista romano voglia alludere qui alle »Vestizione di San Guglielmo d’Aquitania«, dipinto celeberrimo del Guercino, ancora collocato, nel momento in cui il Cades potè vederlo, nella chiesa di San Gregorio a Bologna (prelevato dai Francesi nel 1796, esso fu restituito a Bologna nel 1816-1817 e si trova oggi conservato nella Pinacoteca di quella città). Cfr. D. Mahon, op. cit., Dipinti, 1968, no 43.

19. Cfr. D. Mahon, op. cit., Dipinti, 1968, no 51.

20. Cfr. D. Mahon, op. cit., Dipinti, 1968, no 63.

21. Sulla prima maniera del Guercino, cfr. D. Mahon, op. cit., Dipinti, 1968, p. 1 ss.

22. Memorie per le Belle Arti, I, 1785, pp. 9 s.

23. Memorie per le Belle Arti, Roma, 1787, pp. 77 ss.

24. Gli esempi dell’attenzione portata al Guercino dagli artisti del Settecento potrebbero moltiplicarsi e meriterebbero uno studio approfondito. Ricorderemo brevemente in questa sede che nel 1764, G.B. Piranesi aveva inciso una Raccolta di alcuni disegni del Barbieri da Cento detto il Guercino (cfr. J. Scott, Piranesi, London, 1975, p.241.) e che Gaspare Traversi, secondo il Bianconi (Pitture di Bologna, 1776) aveva copiato l’_Ecce Homo_ e il San Girolamo della Chiesa dell’Osservanza a Bologna; Ch.N. Cochin, d’altra parte, ricorda (nel suo Voyage d’Italie, Paris, Jombert, 1763) che Fragonard a Roma aveva tratto appunti da alcuni dipinti del Serodine credendoli del Guercino e lo stesso Fragonard, come testimonia un disegno della collezione H.Baderou (oggi nel Museo di Belle Arti di Rouen), copiò l’Èrcole e Anteo di Palazzo Talon (già Sempieri) a Bologna.
Sempre a Roma, A.T. Giroux aveva esposto all’Accademia di Francia di Palazzo Mancini una copia dalla Santa Petronilla di cui parlano il Canova, in una lettera al Fontaine del 7 settembre 1782 ed il Lagrenée, in una lettera al d’Angiviller del 26 giugno del medesimo anno (Cfr. H. Honour, Eight Letters from Antonio Canova, in Treasures from the collection of Frits Lugt at the Institut Néerlandais, Apollo, numero speciale, 1976, pp. 55, 57, 61).

25. Examen historique … op. cit. no 63, (p.43). Il dipinto fu restituito nel diciannovesimo secolo alla città di Cento (cfr. M.L. Blumer, op. cit., no 64, p. 259.)

26. La pala fu prelevata a Cento dai Francesi nel 1796; nel 1802 venne inviata a Notre-Dame di Parigi, dove risulta menzionata per l’ultima volta nel 1811. Un disegno preparatorio autografo del Guercino è conservato al Louvre (Inv. 7956), proveniente dalla collezione E. Jabach, classificato, nell’inventorio manoscritto, come disegno di scuola dei Carracci raffigurante »La Gloire du Paradis«. Sulla pala perduta e sul disegno preparatorio, cfr. D. Mahon, op. cit., 1968, Dipinti, p.ll e Disegni, no 1.

27. Cfr. D. Mahon, op. cit., Disegni, 1968, pp. 118 s. Il dipinto, danneggiato, non figurava alla mostra di Bologna. Si trova riprodotto in N. Grimaldi, Il Guercino, 1957, tav. 92.

28. Cfr. D. Mahon, op. cit., Dipinti, 1968, no 98.

29. Il Vasari parla del Dosso nella »Vita di Alfonso Lombardi Ferrarese, di Michelangelo da Siena e di Girolamo da S.Groce Napoletano Scultori e di Dosso e Battista Pittori Ferraresi«, ed.per il Club del Libro, Milano, 1963, IV, pp.362 ss. »… onde al nome del Dosso ha dato maggior fama la penna di M (esser) Ludovico che non fecero tutti i pennelli e colori che consumò in tutta la sua vita. Onde io p(er) me confesso che grandissima ventura è quella di coloro che sono da cosi grandi uomini celebrati; perchè il valor della penna sforza infiniti a dar credenza alle lodi di quelli, ancor che interamente non le meritino« … »e lavoro’ nel Palazzo del Duca molte stanze in compagnia d un suo fratello detto Battista, i quali sempre furono nimici I uno dell altro, ancorchè per voler del Duca lavorassero insieme. Fecero di chiaroscuro nel cortile di detto palazzo istorie d’Èrcole et una infinità di nudi p(er) quella mura.

30. Encyclopédie, IV, 1754, p. 888.

31. Encyclopédie, IX, 1765, p. 359.

32. Cfr. R. Derathé, Les philosophes et le despotisme in Utopie et institutions au XVIIIè siècle. Le Pragmatisme des Lumières, Paris, 1963, pp. 70-73.

33. Ferrara, Pinacoteca, nn.72 e 73. La Prova della Vera Croce, datata 1536 (no 73) si trova menzionata nella Guida di Ferrara del 1770, di C.Barotti, mentre il San Pietro Martire non è menzionato.
Pochi anni dopo il Cades darà una versione dipinta della Prova della Vera Croce per la chiesa di Santa Maria la Nova a Montecelio.

34. Lettera conservata a Parigi, nella Fondation Custodia, all’Institut Néerlandais, indirizzata dal Canova al Fontaine il 7 Settembre 1782, pubblicata da H. Honour, op. cit., 1976, pp. 55, 60. Su L.J. Desprez, cfr. il catalogo della mostra L.J.Desprez, Paris, Centre Culturel Suédois, 1974, e la nota biografica di M. Mosser, oltre alle schede 59 a 64 del catalogo della mostra Piranèse et les Français, 1740-1790, Roma, 1976, pp. 121-131.

35. Riprodotta nel mio articolo Per Giuseppe Cades in Arte Illustrata VI, 1973, no 52, p.4, fig. 16.

36. Cfr. Catalogo della mostra Painting in Italy in the Eighteenth Century — Rococo to Romanticism, Chicago, Minneapolis, Toledo, 1970, p. 185 (scheda a cura di A.M. Clark).

37. Evochiamo qui a titolo di esempio la Storia di Gualtiero d’Anversa, soffitto di uno dei camerini del primo piano della Villa Borghese di Porta Pinciana, la Camera dell’Orlando Furioso di Palazzo Chigi ad Ariccia o ancora la Prova della Vera Croce dipinta per la chiesa di Santa Maria la Nova a Montecelio (oggi in deposito alla Soprintendenza alle Gallerie del Lazio, Roma, Palazzo Venezia).

38. Louvre, Inv. 142.

39. Cfr. J. Bean-F. Stampfle, Drawings from New York Collections…, New York, 1971, p. 114, ripr. Cfr. anche il mio articolo Per Giuseppe Cades, op. cit. (1973), pp. 4, 5, figg. 5 e 6.

40. Cfr. L. Müller, Description …, op. cit., 1849, no 159. Penna e inchiostro nero e bruno, rialzi di lavis. Cm. 47×33.

41. Ad eccezione dei fogli 20 e 27, per i quali cfr.il catalogo in appendice.

42. Raccolta d’incisioni rappresentanti statue che appartengono a monumenti architettonici insigni di Roma, e in modo speciale, quelle del Colonnato di S. Pietro disegnate da G.Porretta, G.Bartolot, P. Verchaf, T. Porta, A. Cavallucci, G. Cades sugli originali di G.L. Bernini, della sua Scuola e di L. Valadier, Roma, P.Bombelli, 1779-1801 – 97 tavole, cm. 52. R.G. Arte Arch. S. 714.

43. A. Haus, Der Petersplatz in Rom und sein Statuenschmuck. Neue Beitràge. Inaugural Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Philosophischen Fakultät der Albert-Ludwigs Universität zu Freiburg, 1970. (Tesi manoscritta, un esemplare della quale è consultabile presso la Biblioteca Hertziana, a Roma).

44. Un esemplare del Manifesto è conservato nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro, a Roma, 2 Pian. Ser. 5, Vol. 27, Nr. 145.

45. Sermoneta, 1752 – Roma, 1795. Allievo di Stefano Pozzi e di Gaetano Lapis, fu il pittore dei Caetani, suoi protettori.

46. 3, S. Petronilla; 4, S. Vitale; 5, S. Tecla; 8, S. Agata; 10, S. Chiara; 13, S. Balbina; 14, S. Apollonia; 17, S. Benedetto; 18, S. Bernardo; 19, S. Francesco d’Assisi; 20, S. Domenico; 25, S. Marco; 26, S. Febronia; 27, S. Fabiola; 28, S. Nilamone; 31, S. Marino; 32, S. Didimo; 36, S. Barbara; 37, S. Benigno; S. Malco; 39, S. Mamante; 41, S. Pontiano; 42, S. Genesio; 43, S. Agnese; 44, S. Caterina; 99, S. Romano; 100, S. Eusebio; 101, S. Spiridione; 102, S. Ignazio; 103, S. Alessandro; 104, S. Leone Magno; 105, S. Atanasio; 106, S.Giovanni Crisostomo; 107, S. Ubaldo; 108, S. Gregorio Nazianzeno; 109, S. Leone Pio IV; 110, S. Clemente; 111, S. Pietro Celestino; 112, S. Marcello; 1 13, S. Martino; 114, S. Silvestro Papa; 115, S. Marcellino; 116, S. Galla; 117, S. Rosa da Lima; 118, S. Beatrice; 119, S. Teodora; 120, S. Giacinto; 121, S. Francesco Saverio; 122, S. Gaetano; 127, S. Francesco di Paola; 128, S. Antonio Abate; 131, S. Giuseppe; 132, S. Romualdo; 133, S. Giovanni de Matha; 138, S. Teodoro; 139, S. Teobaldo; 140, S. Francesco Borgia.

47. Fogli 66 a 75, 92 a 98.

Commentaries

  1. The notes for this article can be found below under References.

Last updated 14.06.2024