1831

Sender

NN

Recipient

Bertel Thorvaldsen

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Rom

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Abstract

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Document

All’Anno 1831
Ode
Magnus ab integro Seculorum nascitur ordo


Su brandisci la Lancia di guerra,

Sposta in fronte quell’Elmo piumato,
Scendi in Campo Ministro del fato,
Oh quai cose si aspettan da te’;

Nel cammino che il tempo ti segna,

Ogni passo sia traccia profonda,
Per Le genti memoria gioconda,
Rimembranza tremenda pei Re’;

Oh se compi quell’opra sublime,

Onde il fato ministro ti ha fatto,
L’Anno Grande del Sagro riscatto
Il tuo nome dei fasti sarà.

Glorioso pei Lauri mietuti

Amirato pei fulgidi rai
Benedetto fra’ gl’anni sarai,
Dalla voce di tutta L’età,

Tua foriera L’umana ragione

A gran passi ricerca La meta,
Anche in Austria si aggira Segreta,
Fino in Russia La Strada si aprì,

E scuotendo l’eterna sua face,

Mentre passa ripete sovente:
Sorgi, Sorgi mortale Languente,
Io son l’Alba del nuovo tuo dì;

A quei detti che l’Eco ripete,

Su gran cerchio la Gallia si spazia,
Ed Elvezia, Brabante, Sarmazia,
Già garreggian di Patrio valor,

E quei detti son soffio di noto;

Nell’incendio di vampe frementi,
E son vampe Le fervide genti,
Agitate da nuovo furor.

Dalle cime delle Alpi nevose,

Alla vetta dell’Etna fiammante,
Ella passa e ripassa gigante,
All’Italia parlando così:

Cingi l’èlmo la Mitra deponi,

O Vetusta Signora del Mondo,
Sorgi, Sorgi, dal Sonno profondo,
Io son l’Alba del nuovo tuo dì.

L’Iperborea nemica grifagna,

Che due rostri ti figge nel seno,
La cui fame non venne mai meno,
Ma col pasto si rese maggior.

Ti divora, ti Lancia, ti sbrana,

Ne tu scuoti L’inezia funesta,
E non tronchi la gemina testa,
In un moto di tanto furor?

Vive faci d’esempi brillanti,

Ti percuoton da lunge gli sguardi;
E tu torpi? che pensi? che tardi?
La fortuna seconda L’Ardir.

Chi ti batte con Verga di Ferro,

Al tuo duolo schernendo sogghigna,
E ripete nell’alma maligna:
Chi sol soffre tal merta soffrir

Ove sono domanda taluno,

I Nepoti de’ Scipj, de’ Bruti?
Son quei greggi di Schiavi battuti,
Rispondendo quell’altro gli và!

Non in altro che in pietre spezzate,

Può mostrarci l’Italia gli Eroi?
Così chiede ridendo fra’ suoi,
Fin quel Vile, che vile si fa.

Ringojate beffardi superbi,

Il veleno che il vil labro ci tinse,
In quell’uno che tutti ci vinse,
I suoi figli l’Italia mostrò.

Quel tremendo gigante di Guerra

Obliaste che nacque sua prole;
Fù scintilla dell’Italo Sole,
La grand’alma che il mondo abbagliò.

La sua possa fra gli nati urti nemici,

Fù tra venti saldissima balza,
Come Cedro sui rotti s’inalza,
Ei s’ergeva sul volgo dei re.

Di sua mano nel Libro de fati,

Ei segnava la Pace e la guerra;
Quei Tiranni che opprimon la terra,
Stavan tutti tremanti al suo pie’.

Tramontata la diva sua Luce,

Si rialzan dall’imo lor fondo,
Come L’ombre risorgon sul mondo,
Quando il Sole dal mondo sparì.

Ombre nere di nordica notte,

Sulla terra dal Sole addensate;
Ombre nere svanite, sgombrate,
Io son L’Alba del nuovo tuo dì.

Così dice, la face scotendo,

La foriera del giorno di pace,
E aggitata raddoppia la face,
Quasi conscia, L’eterno fulgor.

Incalzate quell’ombre funeste,

Contrastando gia vagan d’intorno;
All’annunzio del prossimo giorno,
Scuote Italia l’indegno torpor.

Arme grida Sabaudia guerriera;

Arme, grida l’audace Liguria,
E L’Insubria, L’Emilia, L’Etruria,
A quei gridi brandiscon l’acciar.

Dalla vetta dell’Etna fiammante,

Alle cime dell’Alpi nevose,
Giuran tutte le schiere animose,
La vorace Grifagna snidar.

Scellerati che sangue versaste,

Fin punendo pensiere, e desìo,
Dall’Ampolla dell’ira di Dio,
Già quel Sangue bollendo fumò.

Archival Reference

m32, nr. 54

Last updated 26.08.2019