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LA III ODE DI ANACREONTE
SCOLPITA DA ALBERTO TORWALDSEN.
Mirando nei bassorilievi dei famoso Alberto Torwaldsen tu diresti che la mente sublime di alcun greco statuario tutta si fosse trasfusa in lui. Tanta è la grazia e la venustà di quelle sue figure, la parsimonia del comporre, la soavità dei pensieri, quel giusto limite insomma che senza dare nello esagerato ovvero nel freddo seppero trovare i Greci nelle arti, come nelle lettere; pochissimi dopo loro. Certo è però che il Torwaldsen va primo fra quanti abbiano meglio toccato una sì giusta misura dopo quei sommi, sicché i suoi bassorilievi stimaresti una perfettissima armonia nella quale nulla è di disonante o d’improprio. La qual cosa provò egli soprattutto nel rendere figurate le odi di Anacreonte, nè altri poteva forse tradurre meglio le grazie di questo sommo poeta che ii sommo scultore delle stesse grazie. Offriamo nella presente incisione la terza di quelle odi a spiegazione della quale ci piace di pubblicare l’ode stessa volgarizzata da quella gentile e colta signora Cornelia Sale Codemo da Treviso, già nota per altri scritti in prose ed in versi fra le valenti donne italiane che alla gentilezza del sesso congiungono sì bene tanta profondità di sapere da disgradarne molti uomini. Ella che così é addentro nella greca lingua ha ormai quasi condotto a fine il volgarizzamento in prosa della Odissea di Omero, intieramente compiuto quello, egualmente in prosa, delle odi di Anacreonte; e poiché noi la pregammo nella sua dimora che testé faceva in Roma di favorirci un saggio di questo volgarizzamento, tuttavia inedito, mentre le rendiamo grazie infinite di questa sua compitezza nel farcene dono, ci congratuliamo con lei che sì bene si adopera a prò dei classici studi e la esortiamo per quanto è da noi a continuare in essi senza posa poichè sono essi siffatti studii che possono fra noi italiani riparare alla imminente rovina , la quale pur troppo per una falsa e stravagante scuoia si minaccia miseramente aite nostre lettere.
Ecco pertanto come la signora Codemo volgarizzava quett’ode:
DALLA TRADUZIONE INEDITA DI ANACREONTE.
III. Intorno ad Amore.
Una volta in sull’ora delta mezzanotte, quando l’orsa si volge verso ta mano di Boote, e fumana schiatta, doma dalla fatica, riposa, Amore, stando d’ appresso alle mie soglie, bussò. E chi è, dissi, che picchia alte mie porte, interrompendomi i sogni? E Amore: Aprimi, rispose, sono un fanciulletto, non aver paura: sono bagnato dalla pioggia, smarrito per la notte senza luna. Com’ebbi ciò udito, ne provai compassione, e ben tosto accesa una lucerna gli apersi e vidi un garzoncello, avente arco, ali e feretra. Fattolo sedere accanto al focolare gli riscaldai le mani entro alle mie, e spremetti l’acqua dalla sua chioma. Egli, poiché il freddo lasciollo, portami, disse, l’arco, acciocché provi se it nervo datt’umidità ricevette alcun danno. Lo tese quindi, e mi ferì in mezzo al cuore come un tafano; poi, dato un salto, sghignazzando, ospite, sclamò, t’allegra meco; intatto è l’arco; ma tu invece nel cuore n’avrai tormento.
Dette er en trykt artikel, som blev udgivet i 1846 i tidsskriftet L’Album, op. cit. Teksten er skrevet af fra et eksemplar af artiklen i Thorvaldsens Museums bibliotek.
Amor hos Anakreon, Vinteren, 1823, inv.nr. A415 |
Last updated 02.07.2014