This is a re-publication of an article in the journal Meddelelser fra Thorvaldsens Museum (Communications from the Thorvaldsens Museum) 1973, p. 146-152.
For a presentation of the article in its original appearance, please see this facsimile scan.
Il pittore danese Christoffer Wilhelm Eckersberg (1783-1853) ottenne nel 1809 la grande medaglia d’oro dell’ Accademia di Belle Arti di Copenaghen e l’anno seguente iniziò il suo grande viaggio all’estero. La prima tappa fu Parigi, dove si trattenne sino al 1813, frequentandovi la scuola del David. Di là si spostò poi a Roma e lí rimase sino al 1816, lavorando all’esecuzione di alcune pitture storiche che gli erano state commesse e dipingendo prospetti della città e dei dintorni. Egli dipinse inoltre due ritratti: uno, oggi all’Accademia di Copenaghen, raffigurava il Thorvaldsen, con il quale abitò nello stesso stabile.
Di questo suo viaggio rimangono diari e lettere, conservati presso la Biblioteca Reale di Copenaghen: di essi si sono serviti Philip Weilbach e Emil Hannover per le loro monografie sul pittore datate rispettivamente 1872 e 1898. Del diario e del le lettere da Roma si serví inoltre M. Galschiøt per la sua tesi di laurea, pubblicata nel Kunstmuseets Aarsskrift del 1918 (Bollettino annuale del Museo d’Arte).
Il diario e le lettere da Parigi furono pubblicati nel 1947. I documenti riguardanti il periodo romano vengono ora qui pubblicati quasi per intero e corredati di note. Il diario é, per la verità, un libro di conti, ma contiene molte notizie di natura specificamente storico-artistica: vi si leggono, ad esempio, i nomi degli artisti da lui ineontrati a Roma e molti dati interessanti sulle pitture. Si viene in tal modo a sapere, fra l’altro, che il ritratto del Thorvaldsen venne da lui dipinto nel giro di un mese, dall’ 8 agosto all’8 settembre 1814. Le lettere forniscono maggiori e piú precise notizie: per quanto riguarda appunto il ritratto del Thorvaldsen in esse si legge ciò che lo stesso Eckersberg ha pensato di questo quadro e come è stato accolto e valutato da altri artisti che si trovavano a Roma. La maggior parte delle lettere è in danese, solo alcune in tedesco.
A Roma l’Eckersberg visse tutto il tempo nella stessa casa del Thorvaldsen, ma di lui, anche se lo nomina sia nel diario che nelle lettere, ci dice stranamente poco. Né la cosa deve sorprendere. Il Thorvaldsen si é tenuto ad una certa distanza, ma sembra che a poco a poco sia arrivato ad apprezzare il suo piú giovane connazionale. Se lo portò con’ se’ nelle gite ai dintorni di Roma e gli donò un bell’anello. (26, 27) L’Eckersberg parla spesso dei lavori del Thorvaldsen che evidentemente fecero su di lui grande impressione. E il Thorvaldsen gli dette anche consigli sulla composizione (13). L’arte del Thorvaldsen, in sostanza, è stata di decisiva importanza per la formazione stilistica dell’Eckersberg in questi anni. É sintomatico a questo proposito il fatto che, a detta dello stesso Eckersberg, il suo ritratto del Thorvaldsen non fu piú considerato troppo francese (13).
Incredibilmente poco ci dice l’Eckersberg dell’arte del passato. Egli ha visto, poco dopo l’arrivo a Roma, le opere di Rafifaello in Vaticano, e menziona con modesto entusiasmo Michelangelo nella Cappella Sistina dove era andato a sentire un concerto (19). Maggior compiacimento si riscontra nella menzione di Claude Lorrain (2), e qualche altro artista del passato viene nominato di sfuggita. In realtà egli non ha sentito il bisogno dell’arte del passato all’infuori di quella antica, però nella versione del Thorvaldsen. Il suo bagaglio era costituito da ciò che aveva appreso a Parigi, dalla sua prospettiva e da quanto vedeva con i propri occhi. Quando nelle lettere scritte sulla strada del ritorno l’Eckersberg accenna alia pittura medievale da lui vista a Pisa e ad Assisi, ne parla come di curiosità per antiquari, mentre maggiormente si compiace per l’architettura di Pisa. Ciò si riallaccia al suo grande interesse per l’ architettura, da lui chiamata la prima delle arti (2, 14, 15, 36).
A Roma questo suo interesse si concretizza nei numerosi prospetti da lui dipinti di Roma e dei dintorni, che presentano tutti architettura di stile classico, o antica o piú recente. Ciò corrisponde all’interesse nutrito per la moderna architettura classicista di Parigi, di cui fanno fede non pochi disegni. Dei prospetti romani lo stesso Eckersberg dice che la maggior parte di essi dipinta in loco, dal vero, e con la massima esattezza, e le sue parole trovano appoggio nella nota delle spese del maggio 1814 in cui si elenca una scatola di colori portatile e il sostegno in ferro di un seggiolino pieghevole (10, 13, 18, 33). Egli dice anche che si sentiva maggiormente a suo agio quando se ne stava seduto all’aperto a dipingere (18).
In questo cercava rifugio quando Roma cominciava a pesargli. Ed accadeva sovente. Nelle lettere si riscontra un crescente fastidio per la città: il clima è intollerabile, i romani falsi e altrettanto insopportabili quanto gli artisti tedeschi. Nell’estate del 1815 appare in preda ad una vera e propria depressione.
In realtà le sue preoccupazioni non erano poche e la melanconia ne accresceva il peso: le precarie condizioni in cui si trovava la patria, le sue povere finanze, i debiti sempre più grandi, e poi il clima e la popolazione. Particolare motivo del suo abbattimento può anche essere stato il molesto sospetto che le sue capacità in quella disciplina, la pittura storica, in cui doveva appunto istruirsi non fossero sufficienti. Degli »Israeliti« egli dice molto apertamente che è opera mal riuscita (29). Il fatto è che nel primo periodo egli sentí la nostalgia di Parigi e più tardi quella di Copenaghen, tanto piú che nel 1815 i francesi, abbandonando Roma, avevano privato la città di un elemento per lui seducente.
C’erano, è vero, molte cose piacevoli – dice l’Eckersberg – come ad esempio la bellezza puramente fisica dei romani (che mal si adattava alla loro cattiveria interiore), l’architettura antica, le feste religiose, la musica, i dintorni, ma si sentiva spesso solo, soprattutto la sera, dopo la partenza del capitano von Huth, che era allegro e sempre in bolletta. E poi – continua – bisogna mantenersi casti, che lo si voglia o no (11).
Tanto male però le cose non dovettero andare. Aveva ad ogni modo una amica fissa; un accenno, nel diario, fa capire la natura di questo rapporto. Si tratta della »N« che spesso ricorre nel diario, identica senza dubbio alia menzionata »Nena« o »Magdalene« (Maddalena). Questa donna appare nel diario già nell’ottobre 1813 ed è nominata l’ultima volta nell’ottobre 1815. Posò per lui come model la, ma oltre a ciò l’Eckersberg le fece visita, scambiò doni con lei e l’ebbe compagna in molte gite. E’lei la donna del piccolo ritratto della Hirschsprungs Samling, che in passato venne ritenuto un ritratto di Anna Maria Magnani, l’amica di Thorvaldsen. Fu dipinto attorno al 1. settembre 1815, dunque nel periodo in cui piú acuta era – a giudicare dalle lettere – la sua depressione. Ciò si palesa lorse nel la freddezza con cui è trattata la persona: maggior calore infatti è impiegato nella descrizione dell’abbigliamento. E ciò, in relazione col fatto che l’Eckersberg portò con sé il ritratto a Copenaghen, autorizza a supporre che esso venisse espressamente dipinto per essere mostrato a Copenaghen come modello di ritratto moderno, borghese.
Qualcosa di simile deve ritenersi sia accaduto anche per il ritratto del Thorvaldsen di cui l’autore non era evidentemente insoddisfatto. Egli dice che non é eseguito secondo il tradizionale stile dei ritrattisti di professione (13), e rileva di averlo inviato in Danimarca per rendere onore al grande connazionale, ma confessa altresi che a dargliene l’idea é stato lo stesso Thorvaldsen.
Egli si meraviglia, del resto, di non aver mai sentito nulla sul quadro dall’Accademia di Copenaghen – fatto, questo, che lo Hannover non tralascia di rilevare nel suo volume sull Eckersberg. Quanto all autore, egli stesso ritiene che all’Accademia non devono essere stati troppo felici di vedersi piombare addosso un quadro e che certo gatta ci cova. Ed è certo vero. L’Accademia doveva pagare le spese di trasporto, che non erano lievi, e di denari non ce n’erano; ma in più deve anche esserci stato il timore di stabilire un precedente. Che brutte prospettive per il futuro, se gli artisti potevano spedire dall’estero le loro opere contro assegno! Per tal motivo ci si astenne da dichiarazioni ufficiali. Ma alio stesso tempo é indubbio che il latto stesso che l’Accademia trattenne il quadro fu un riconoscimento della qualità di esso; e del resto l’Accademia ebbe parole lusinghiere per le opere inviate e provvide anche a prolungare la durata della borsa di studio (9, 13, 17, 19, 21, 22, 24, 26, 29).
Ciò che lo stesso Eckersberg dice del ritratto rivela quanto egli fosse divenuto cosciente in latto di stile. A Roma egli era diventato un convinto classicista di rigorosa osservanza. Modestamente e senza mai dirlo apertamente, egli si considerò l’equivalente in pittura del Thorvaldsen e di C.F. Hansen, che dovevano fare di Copenaghen l’Atene del Nord (13). Parla piu volte dei greci come dei »nostri maestri«, e appunto per questo sente anche di dover avanzare delle riserve per lo Hansen, mentre nutre particolari speranze per l’amico Peder Malling, da lui chiamato »intimo amico dei più grandi greci« (5, 6, 31).
Cosi, a Roma l’Eckersberg si ancorò saldamente ad un rigido classicismo in cui, come pittore, uovette appoggiarsi specialmente al Poussin, da lui menzionato una sola volta (5), e in cui soffocò gradualmente l’elemento davidiano con una vigorosa plastica, con colori alla Rubens e con uno spiccato naturalismo.
Il rafforzato classicismo sembra anche aver portato nell’Eckersberg una maggiore ristrettezza di vedute di fronte all’arte che lo circonda. In fondo pare che ad interessarlo veramente non ci sia altri che il Thorvaldsen. Dei pittori contemporanei che incontrò a Roma o di cui vide le opere parla per lo piú dei tedeschi. Li trova mediocri come pittori, ma possono eccellere, a suo giudizio, nella composizione (1, 2, 15, 16, 17, 28, 30). Menziona senza entusiasmo il ritratto del papa del Vincenzo Camuccini, e per il resto parla soprattutto dei francesi, fra i quali si interessa di M.M. Drolling (25, 27) e di Antoinette Lescot, in seguito Haudebourt-Lescot (15). Fra i paesaggisti apprezza di piu Abraham Teerlink e P.-A. Chauvin (34). Tutti quell i che nomina sono, come lui, attori minori sulla scena dell arte.
Il diario e le lettere presentano anche sorprendenti omissioni. Non vi si nomina ad esempio Vogel von Vogelstein, che dipinse un ritratto del Thorvaldsen nel lo stesso tempo in cui l’Eckersberg dipinse il suo. E può sorprendere anche che non nomini affatto Ingres. Può essere un caso, ma può anche essere l’espressione di un ben chiaro atteggiamento mentale, cosi come probabilmente è avvenuto per Vogel von Vogelstein, per il quale é entrato in gioco il fattore concorrenza. Quanto ad Ingres non sappiamo se l’Eckersberg labbia conosciuto; tuttavia, poiché abitarono quasi porta a porta ed ebbero conoscenze in comune, dobbiamo supporre che se non altro avesse sentito parlare di lui. E’incerto invece se abbia avuto modo di vedere alcune delle opere del francese. Non ha certo visto i ritratti romani di Ingres, da tempo ormai sicuramente consegnati ai committenti, e la stessa cosa può dirsi dei suoi numerosi ritratti disegnati.
Tuttavia l’Eckersberg è stato al Quirinale (22 marzo 1814) espressamente per vedere le stanze decorate in onore di Napoleone, e qui deve aver visto il »Sogno di Ossian« di Ingres. Se in base a quest’opera si è formato un’idea dell’arte di Ingres, non può soprendere che non l’abbia apprezzato e che perciò non ne abbia fatta menzione. L’Eckersberg, ligio alla dottrina del classicismo, non poteva apprezzare una simile pittura.
Come pittore, da un punto di vista puramente professionale, l’Eckersberg era fortemente limitato dal suo classicismo. A Roma purificò il suo stile di tutte le tracce di ciò che i radicali di Francia chiamavano il »Pompadour«, e come pittore rimase immune dal romanticismo. Come turista é invece piú aperto: nelle lettere ci dà infatti vivaci descrizioni di suggestive scene naturali e di fenomeni luminosi, visti quasi con occhio di paesaggista romantico (2, 11, 14, 27, 35). Ciò corrisponde all’interesse piú propriamente turistico con cui osservò i mon umen ti medievali. Eguale è il suo rapporto con la musica: l’Eckersberg l’amò molto, ma non può dirsi che di essa si trovi eco nelle sue opere. Per rendere piú vivace il profilo qui tracciato della sua persona e della sua vita, si aggiunge che l’Eckersberg, ritornando a casa, si porto di contrabbando in una valigia a doppio fondo alcune medaglie antiche (13).
Il materiale di cui ci siamo qui valsi è intiniamente connesso con il materiale relativo al soggiorno a Parigi, pubblicato dall’autore nel 1947 a Copenaghen. Il tutto è conservato presso la Biblioteca Reale (Add.301-2), alla quale venne a suo tempo consegnato dalla Biblioteca dell’Università, che lo aveva ricevuto dagli jeredi dell’Eckersberg per il tramite di Emil Hannover. Tutto questo materiale è stato sistemato dallo Hannover e reca la numerazione da lui assegnatagli. In seguito a più preciso esame si rileva però che la successione da lui stabilita non sempre regge alla prova, per cui essa é stata modificata nella presente edizione. Solo in singoli casi la datazione è incerta.
Il diario e le lettere sono qui riportati con la niassima esattezza, conservando l’ortografia e la punteggiatura originale. Solo in alcuni casi quest’ ultima è stata modificata per una piu chiara comprensione. Le lettere sono tutte brutte copie e contengono non poche cancellature, le quali sono state omesse quando si tratta di frasi che sono state piu oltre riscritte, mentre vengono riportate quando contengono notizie che non appaiono altrove e quando la cancellatura appare risultare da ripensamento.
Nella presente edizione viene indicato quando si tratta di cancellature. Inoltre le parentesi dell’Eckersberg sono tonde mentre quelle degli editori quadre. Una parentesi quadra, vuota nel testo, indica o che un brano manca nella lettera o che una parola è risultata indecifrabile. Le lettere che vengono riportate a rigøre di termini sono stampate nella loro integrità, anche se brani di esse sono ripetizioni o banalità. Altre lettere, ritenute nel loro insieme prive di elementi essenziali che già non si ritrovino in altre lettere, sono riportate qui solo in forma di riassunto. I testi sono muniti di note e di un indice dei nomi.
Il diario contiene numerose notizie sull’acquisto di colori e altri materiali che il conservatore Adam Raft ha vagliato e commentato (ved.pagg. 152-154).
Last updated 11.05.2017